Una delle caratteristiche peculiari del populismo è quella della creazione di vere e proprie favole che servono a distorcere la realtà e a giustificare spesso provvedimenti repressivi che servono a inasprire ancora di più questi regimi, quasi sempre arrivati al potere attraverso elezioni democratiche ma che poi, sempre in nome del popolo si capisce, costruiscono democrazie fittizie e autoreferenziali, maschera di dittature vere e proprie.
L’ultimo esempio si sta vivendo in Bolivia dove l’ex Presidente (ad interim) Jeanine Añez è stata arrestata, assieme a due suoi ex Ministri, Álvaro Coimbra y Rodrigo Guzmán, con l’accusa di terrorismo, sedizione e colpo di Stato organizzato nel novembre 2019. La denuncia era stata presentata nel dicembre scorso da una deputata del Mas (Movimiento al socialismo, il partito cui appartiene l’ex Presidente Evo Morales) e fa parte di una vera e propria guerra tra l’attuale Governo (Mas) e l’opposizione.
Proviamo a descrivere la situazione in cui versava la Bolivia quell’anno. Per farlo dobbiamo partire dal 2018, quando l’allora Presidente Evo Morales spinse un Tribunale Costituzionale formato da persone nominate da lui ad annullare il risultato di un referendum, svoltosi nel 2016 che lo inabilitava a essere candidato alla Presidenza (limitando i mandati a due mentre Morales voleva raggiungere un quarto) e dettava invece che la sua possibilità a candidarsi indefinitivamente fosse da considerarsi un “diritto umano”.
Nel 2019 si svolgono le elezioni presidenziali, dove però si scopre una gigantesca frode che aveva permesso a Morales di vincerle, fatto accertato anche dall’Osa (Organizzazione degli stati americani) che le aveva monitorate. Il fatto è che, scoperta la frode, si assiste a manifestazioni di massa in gran parte del territorio boliviano: eventi talmente grandi da consigliare allo stesso Morales di soffocarli: ma per sua sfortuna l’Esercito risponde picche e anzi sono documentatissimi eventi in cui la gendarmeria, chiamata anch’essa a reprimere i manifestanti, depone le armi e si allea con loro.
A questo punto a Morales non restano che le dimissioni e la fuga: scappa in un territorio controllato dai “cocacoleros” (i lavoratori nelle piantagioni di coca alleati di Evo) per poi trasferirsi in aereo verso il Messico, accolto come un martire dal Presidente Lopez Obrador. Successivamente, dopo un lungo soggiorno, si trasferisce in Argentina, dove è appena stato eletto il peronista Alberto Fernandez, che lo ospita nel proprio Paese: Morales alloggia in una lussuosissima villa nel ricco quartiere di san Isidro, confermando il fatto che i leader populisti, che agiscono in nome del popolo e contro le oligarchie liberiste e capitaliste, non amino affatto passare i loro giorni in alloggi popolari.
A questo punto, rispettando la Costituzione nel suo articolo 169, si seguono alla lettera le istruzioni per operare la successione in caso di rinuncia del Presidente e Añez ne assume la carica solo per traghettare la Bolivia verso nuove elezioni.
Fin qui il racconto dei fatti che, come ripeto, sono documentabili anche per scoprire che la favoletta del colpo di Stato è tale per varie ragioni. In primo luogo, Morales venne sì invitato dai militari, ai quali aveva chiesto appoggio, a dimettersi, ma, caso strano per un “golpe”, non venne arrestato per la frode elettorale e per l’annullamento di un referendum democratico, due delitti gravissimi, ma potè tranquillamente fuggire verso lidi amici e sopratutto sponsorizzato da media “progressisti” che lo dipinsero come un martire, per fortuna smentiti dalla maggior parte degli organi di stampa internazionali, che invece descrissero la difficile situazione del Paese.
Nata a Benin ma poi stabilitasi a Santa Cruz de la Sierra, zona a maggioranza etnica bianca e di grande potere economico, Janine Añez, in una nazione con ben 63 etinie differenti presenti sul suo variegato territorio, ha da subito commesso l’errore di mostrare simboli della cultura occidentale più pura, e questo le ha alienato le già poche simpatie che la circondavano. Pur se il suo mandato era squisitamente tecnico, dovendo fare da ponte con le nuove elezioni presidenziali, si è spesso comportata come se le avesse vinte, con atteggiamenti a volte molto “decisi” tanto da non risultare proprio simpatica anche a vari politici dell’opposizione, e spesso strizzando l’occhio ai militari. A completare poi il quadro ci ha pensato il Covid-19 che anche in Bolivia ha provocato una grave emergenza sanitaria e oltretutto posticipato i termini delle elezioni: si sarebbero dovute svolgere il 3 maggio 2020, invece la situazione ha costretto a rimandarle al 18 ottobre. E le urne hanno sentenziato il ritorno del Mas al potere, con l’elezione del “delfino” di Evo Morales, Luis Arce, alla presidenza.
Quindi si può senz’altro affermare che il processo stabilito dalla Costituzione sia stato seguito (ritardo Covid a parte) quasi alla lettera, per cui la domanda che sorge spontanea, anche dopo il risultato che ha riportato al potere il Mas, è come si possa chiamare colpo di Stato militare un’operazione del genere. Se non l’ennesima favoletta populista a uso e consumo anche di parte del cosiddetto progressismo internazionale, abbondantemente oliato da un partito che ha il suo grande punto di forza e di potere dal fatto che riunisce tutto l’apparato dei “cocacoleros”, i lavoratori dell’ “industria” della coca, di cui Evo Morales è stato il segretario sindacale. Difatti durante la sua presidenza, per espandere la coltivazione dell'”oro bianco”, si sono sterminate etnie della selva, radendo al suolo il loro territorio per poterlo utilizzare per la sua coltivazione. Fatto che è parte di una denuncia fatta anche dall’Onu.
A completare la farsa del golpe non poteva certo mancare l’appello di tre deputati boliviani che hanno proposto di attribuire il Nobel per la pace all’attuale Presidente argentino Alberto Fernandez, per aver ospitato il “martire” Evo Morales. Il bello è che questa candidatura (tra le tante, ovviamente) è stata accettata a Stoccolma…
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