Dario D’Ambrosi è il protagonista della puntata di giovedì 20 giugno 2019 di “Che ci faccio qui“, il programma di interviste condotto da Domenico Iannacone nell’access prime time di Raitre. L’attore, autore e regista teatrale è pronto a raccontarsi e a parlare del Teatro Patologico di Roma, un luogo straordinario che dal 1992 accoglie le persone affette da disagio mentale. Proprio in questa compagnia teatrale queste anime trovano il modo di comunicare e di uscire dall’isolamento. Si tratta di una compagnia teatrale unica nel suo genere attualmente impegnata nella realizzazione de ” Il Cappotto di Gogol”. Fondatore della compagnia è Dario D’Ambrosi che ha vissuto volutamente la realtà dei manicomi. Da giovanissimo, infatti, Dario si è fatto rinchiudere per tre mesi per vivere e capire sulla propria pelle il significato di malattia mentali. Quell’esperienza oggi è diventata uno scopo di vita per l’attore e regista pronto a raccontare, attraverso alcuni dei suoi attori, quanto sia labile il confine tra normalità e follia.



Dario D’Ambrosi: ecco come è nato il Teatro Patologico di Roma

Una carriera dedicata al cinema e al teatro quella di Dario D’Ambrosi che molti ricorderanno per aver interpretato l’Ispettore Capo Canton nella serie cult “Romanzo Criminale”. Intervistato da Mondo Rosa Shokking, D’Ambrosi ha raccontato come è nata l’idea di fondare il Teatro Patologico di Roma: “un critico alla presenza del mio primo spettacolo “Tutti non ci sono” del ’79, ha scritto “Nasce il teatro patologico” e io l’ho preso come logo del mio movimento”. Da lì è nata la scintilla che l’ha spinto a creare quella che è considerata l’unica compagnia teatrale al mondo in cui recitano persone affette da malattie mentali. “Sono giunto a scrivere questo spettacolo dopo un percorso molto particolare: sono cresciuto a San Giuliano Milanese con un gruppo “poco raccomandabile” di amici, fra cui c’era anche Renato Vallanzasca, e sono stato salvato dal calcio. Dopo aver giocato nel Milan per quattro anni, ho avuto un’esperienza in manicomio per tre mesi” – ha raccontato l’autore e regista teatrale. Quell’esperienza in manicomio gli ha cambiato per sempre la vita: “ho capito che è un mondo incredibile da poter raccontare. E dove, se non in teatro? Tramite il quale si possono far schizzare e lanciare idee per far avvicinare il pubblico e fargli conoscere queste vicende assolutamente sconvolgenti”.



Dario D’Ambrosi dopo il manicomio: incontri con Andy Warhol, Spike Lee

L’esperienza in manicomio ha rivoluzionato la vita di Dario D’Ambrosi. Così dopo aver trascorso tre mesi a stretto contatto con persone affette da malattie mentali, una volta uscito Dario è tornato sulle scene con lo spettacolo “Tutti non ci sono” in cui richiama la scritta impressa sul manicomio di Aversa dopo la legge del 1980. Uno spettacolo interamente scritto, diretto ed interpretato da Dario D’Ambrosi. Un anno dopo lo spettacolo Dario parte per New York dove incontra Ellen Stwart, la fondatrice del teatro d’avanguardia La MaMa Theater: ” lei mi ha dato la possibilità di mostrare la mia opera a persone come Andy Warhol, Spike Lee, Jim Jarmusch che io non conoscevo assolutamente, ma che sono rimaste sconvolti e ammirati dal mio lavoro”. Un incontro che gli cambia la vita, visto che il suo spettacolo dapprima conquista il pubblico americano e poi approda in Italia. Non solo teatro nella vita di Dario D’Ambrosi, che nella sua carriera ha lavorato con star del calibro di Mel Gibson e Anthony Hopkins : “ho girato “La passione di Cristo” di Mel Gibson col quale ho lavorato benissimo, fra pazzerelli ci si intende e “Titus” con il più grande attore del mondo, Sir Anthony Hopkins”

Leggi anche

La rosa della vendetta 3 si farà?/ Gran finale per Gulcemal e Deva e dalla Turchia arriva scelta definitiva