Nonostante una piccola flessione nel mese di luglio 2021, -23mila unità, la tendenza della crescita dell’occupazione viene confermata dai numeri contenuti nel bollettino pubblicato ieri dall’Istat. Il dato negativo è essenzialmente legato all’ulteriore contrazione dei lavoratori autonomi, -47mila, ma rimane di un certo rilievo, +24mila, la quota dei lavoratori dipendenti, equamente distribuita tra uomini e donne.



Nei precedenti commenti, abbiamo più volte sottolineato la necessità di attenzionare la specificità dei lavoratori autonomi non solo sul versante dell’ampliamento, peraltro molto discutibile, dei sostegni al reddito. È un mondo che necessita in molti comparti di cambiare pelle, rivisitare ruoli e professioni, di migliorare specializzazioni e competenze, e meno rintracciabili nei dati congiunturali. Infatti il saldo negativo per questa componente viene riscontrato anche nel raffronto con il medesimo periodo dello scorso anno (-62mila).



Diminuiscono le persone in cerca di lavoro, -29mila, e aumentano per una quota analoga quelle inattive. Nel complesso i tassi di occupazione, disoccupazione e inattività rimangono sostanzialmente stabili.

Il recupero del numero degli occupati dipendenti rispetto alle perdite subite nel corso della crisi Covid prosegue invece in modo poderoso: +440mila rispetto al mese di luglio 2020 e + 317mila nell’ultimo trimestre rispetto al precedente.

Buona parte del recupero su base annua è legato all’incremento dei contratti a termine, +377mila, e alla ripresa del lavoro stagionale. La crescita degli occupati ha ridotto in modo significativo il numero delle persone inattive, -484mila, e in misura più contenuta, -173mila, quello dei disoccupati in cerca di lavoro.



Il dato va però interpretato in relazione al forte aumento dell’inattività avvenuto nel corso dell’attuazione delle misure di distanziamento anti-Covid dello scorso anno, che hanno fisicamente impedito le ricerche attive per un nuovo lavoro.

Questi numeri evidenziano in effetti un graduale rientro alla normalità. Accompagnano anche la progressiva riduzione dell’utilizzo delle casse integrazioni, segnalato recentemente dall’Inps, e fanno presagire un superamento non traumatico del blocco dei licenziamenti, già in parte avvenuto per l’industria e le costruzioni, e previsto successivamente al prossimo 31 ottobre per i comparti dei servizi.

La distanza rispetto ai numeri precedenti la crisi-Covid rimane elevata, 400mila occupati, ma i tempi di recupero risultano accelerati rispetto alle previsioni, coerentemente con quanto sta avvenendo per la ripresa economica. Le previsioni più aggiornate azzardato un aumento del 6% del Pil per l’anno in corso e il completo recupero delle perdite subite durante il Covid entro il primo semestre del 2022.

Un dato importante è il contributo offerto alla crescita, +300mila su base annuale, dalla componente dei giovani con età inferiore ai 35 anni. Rimane sostenuto, +220mila, anche per gli over 50, mentre si riduce, -85mila, la quota sugli occupati nella fascia di età intermedia.

Le buone notizie però vengono affiancate da preoccupazioni che non devono essere sottovalutate. Le rilevazioni svolte dal sistema Excelsior del ministero del Lavoro sull’andamento della domanda di lavoro confermano la ripresa della stessa verso le soglie pre-crisi, ma segnalano contemporaneamente una crescente difficoltà delle imprese nel reperire personale specializzato o quantomeno disponibile per il 30% dei fabbisogni richiesti. Il Sole 24 Ore sta facendo un’indagine rivolta a quantificare i fabbisogni delle imprese in molti comparti (agroalimentare, costruzioni, trasporti, turismo, ristorazione…) che confermano le rilevazioni del sistema Excelsior.

In alcuni casi, a detta delle associazioni delle imprese, potrebbero anche comportare la rinuncia da parte delle stesse ad ampliare le attività produttive e i servizi erogati.

Come ridurre questo divario, almeno per la componente delle mansioni che non richiedono un consistente percorso di riqualificazione dei disoccupati e dei beneficiari dei sostegni al reddito, è un tema che meriterebbe una maggiore attenzione delle istituzioni e delle parti sociali.

Sul versante opposto, quello delle dismissioni di personale, il nodo al pettine è rappresentato dalle aziende che erano già in difficoltà nella fase precedente la crisi Covid.

Queste criticità dovrebbero essere affrontate con un approccio pragmatico e selettivo.

La proposta di riforma dei sostegni al reddito muove nella direzione opposta, quella di estendere l’utilizzo delle casse integrazioni, che dovrebbe essere motivato dalla necessità di rimediare una riduzione provvisoria dell’attività aziendale, anche alla fattispecie delle chiusure aziendali. Cronicizzando di fatto l’utilizzo dei sostegni al reddito, per mantenere in vita posti di lavoro economicamente inesistenti.

Queste contraddizioni, se non adeguatamente affrontate, rischiano di diventare una palla al piede per la crescita economica e dell’occupazione.