ALESSANDRO D’AVENIA: LA “MIOPIA DI FUTURO” E IL SENSO DELL’EDUCAZIONE

Nella sua rubrica sul “Corriere della Sera”, lo scrittore ed insegnante Alessandro D’Avenia prende di petto la crisi generazionale attuale che colpisce ben oltre i “semplici” giovani ma che rappresenta un tema dirimente nell’educazione in senso lato. Prendendo a spunto una immagine usata dal neuroscienziato Antonio Damasio, si assiste sempre di più oggi alla “miopia di futuro”. «Nei pazienti con lesioni ai lobi frontali acquista una dimensione soverchiante, che può schiacciarli. Si potrebbe descrivere il loro disagio come miopia rispetto al futuro», spiega lo scienziato nel suo libro “L’errore di Cartesio”; secondo Damasio e lo stesso D’Avenia, il concetto di “miopia di futuro” può tranquillamente essere adottato anche per spiegare il comportamento «di individui sotto l’influenza dell’alcool o di altre sostanze». In sostanza, le dipendenze restringono «il panorama del nostro futuro, tanto che quasi nulla che non appartenga al presente viene elaborato con chiarezza».



Uscendo dal paragone con ubriachi, drogati e qualsiavoglia dipendenza, il problema risiede oggi per tantissimi giovani che si ritrovano “bloccati” nella catena emozioni-pensieri-azioni: il problema dell’eterno presente arriva come a bloccare la nostra dimensione di apertura al futuro. «Nel relazionarmi con tanti ragazzi riscontro questa miopia di futuro, dovuta a ogni tipo di dipendenza e in particolare a quella da eterno presente: la ricezione passiva e continua di “sensazioni” (digitali e non) ipnotizza i sensi e fa sbiadire il domani (da cercatori di senso a cercatori di sensazioni)», scrive D’Avenia nell’articolo sul “Corriere della Sera”. Per l’insegnante e scrittore di successo, «La miopia del futuro si manifesta quindi come mancanza di iniziativa, di creatività e di azione, perché l’immaginazione, motore del futuro, è ingolfata». Ai più giovani, già da bambini, viene spesso detto continuamente che cosa devono guardare, sentire, fare, comprare: rimangono come «addestrati ed esauriti», ma «basta ricordare loro che non sono qui per consumare e consumarsi, ma per creare e (ri)crearsi, come si impone all’evidenza del loro corpo: sta diventando erotico, cioè capace di dare la vita».



DA ETTY HILLESUM IL “CONSIGLIO” PER L’EDUCAZIONE CONTRO LA MIOPIA: PARLA D’AVENIA

Una “miopia di futuro” che nasce dalla dipendenza insana e arriva a spegnere lo spirito di iniziativa del singolo. Secondo Alessandro D’Avenia, «da lì scaturiscono le azioni di futuro, cioè quelle che posso compiere solo io perché sono io. Che cosa creo io oggi? Educare non è addestrare, ma mettere in condizione di creare, però non può essere creativo, cioè agire in modo inedito, chi non attinge alla fonte della propria creatività: lo spirito». Il “consiglio” dell’insegnante è quello di dedicare la prima mezz’ora della giornata scolastica «a esercizi spirituali, pratiche secolari che accomunano tutte le culture più grandi del pianeta con un unico scopo: ricordati di vivere. L’oblio della vita ci prende quando il nostro io creativo è soffocato da paura, ignoranza di sé, illusioni e dipendenze». Secondo D’Avenia, per rimettere “a fuoco” il futuro, bisogna esercitarsi nel chiamare a raccolta «quelle energie che ci fanno resistere alle re-pressioni e alle distrazioni a cui ci abbandoniamo».



Questi “esercizi” nascono però dall’osservazione e lo studio di una figura centrale nella letteratura del Novecento come Etty Hillesum, la giovane ragazza ebrea morta nei campi di concentramento in Polonia e che raccontò nei suoi diari la sua resistenza alla violenza nazista: «scelse di praticare per resistere alla violenza nazista e all’amarezza in cui stava precipitando», spiega lo scrittore illustrando le esatte parole di Etty come importante monito anche per l’oggi. Una meditazione tutto all’opposto delle pratiche da “new age” o simili: «Mi guarderò dentro per una mezz’oretta ogni mattina, prima di cominciare a lavorare: ascolterò la mia voce interiore. Sprofondare in se stessi», scriveva Etty Hillesum nei suoi diari, «Sia questo, dunque, lo scopo della meditazione: trasformare il tuo spazio interiore in un’ampia pianura vuota, senza tutta quell’erbaccia che impedisce la vista. Così che qualcosa di “Dio” possa entrare in te, come c’è qualcosa di “Dio” nella Nona di Beethoven. E anche qualcosa dell’“Amore”, ma non quella sorta di amore di lusso in cui ti crogioli, orgogliosa dei tuoi sentimenti elevati, bensì amore che puoi applicare alle piccole cose quotidiane». È solo interrompendo le “dipendenze”, le fatiche estreme e la mancanza di desiderio di iniziativa, che allora l’Io può tornare ad essere protagonista: «io come Etty, ho un’esperienza diversa: la sorgente c’è, in ognuno di noi, ma va cercata e liberata ogni giorno: solo così lo scopo della vita non solo non viene mancato ma si compie in modo sempre nuovo, in qualsiasi condizione ci troviamo», conclude D’Avenia.