ALESSANDRO D’AVENIA: “IL NOBEL, IL DNA E IL RISCHIO VERSO L’IGNOTO”
Il Premio Nobel 2022 per la Medicina è stato assegnato a Svante Pääbo, scienziato fondatore della paleogenetica e studioso sul DNA dell’antenato dell’essere umano. Nella sua rubrica sul “Corriere della Sera” Alessandro D’Avenia parte da questa apparentemente normale notizia per riscoprire come e perché l’individuo oggi sia il frutto costante di una “lotta” tra il vivere e il morire, il rischiare e il “nascondersi”. Il biologo vincitore del Nobel è riuscito a ricostruire la parentela tra le specie del genere Homo (Uomo) – di cui oggi è rimasto solo l’Homo Sapiens (l’uomo che sa) – nel cui codice genetico c’è una piccola percentuale di DNA della specie Neanderthal e Denisova (specie tra l’altro scoperta da Pääbo). Scrive D’Avenia affascinato da quanto studiato e scoperto dal Nobel 2022 per la Medicina: «Accostare le origini di quella cosa grandiosa e tremenda che è l’uomo aiuta a capire che significa essere uomini: che il Sapiens sia il solo sopravvissuto del genere Uomo e non abbia generato altre specie è già una risposta». La differenza tra il Sapiens e tutte le altre specie umane precedente è che quest’ultimo “sa di essere”: «ha coscienza di sé e del mondo», sottolinea il docente e scrittore.
«L’uomo è uomo», scrive D’Avenia su “Ultimo Banco”, «perché ha e fa cultura, cioè tutto ciò che crea per umanizzare la vita, perché, a differenza dell’animale che ha già tutto scritto nel suo istinto, l’uomo diventa uomo». A differenza degli altri, il Sapiens è resistito e sopravvissuto ai cambiamenti della Terra per un unico reale motivo: «sopravvissuto perché, di fronte all’ignoto, rischiava, un motivo contrario al buon senso: non si metteva al sicuro ma a rischio». Dall’Africa dove è nato ha migrato in poche migliaia di anni arrivando fino all’Australia: secondo Alessandro D’Avenia, «Ci ha salvato l’inquietudine: siamo e diventiamo vivi per inquietudine e non per abitudine. Non ci accontentiamo ma cerchiamo, esploriamo, scopriamo. Siamo un motore di ricerca, il desiderio, che non ha pace, ma la cerca».
“O CREI VITA O DIVORI QUELLA CHE C’È”: LA SCELTA DRAMMATICA SECONDO D’AVENIA
Rischiare o rimanere “apparentemente comodi”, questo il dilemma: lo slancio del Sapiens ci dice della natura recondita dell’essere umano, ovvero di “andare oltre” e provare laddove altri invece si fermano. Secondo D’Avenia, questo è il motivo per cui non ci siamo ancora estinti: è però anche vero che purtroppo il Sapiens, oltre a “vivere” è capace anche di distruggere e non c’è bisogno di portare esempi di questo, la storia è un continuo succedere di distruzione (anche oggi). Dalla prof – raccontata dal collega D’Avenia – che “promette” agli alunni in prima liceo che li ridurrà perché «siete troppi», fino alla Genesi dove troppo spesso ci si dimentica che gli alberi dell’Eden creati dal Signore sono due e non uno solo: il tema è tutto tra il generare e il de-generare, «gli alberi dell’Eden sono due: quello della conoscenza del bene e del male, precluso all’uomo a significare che la sua condizione è di creatura e non di creatore (la vita non te la sei data tu); e quello della vita, a sua totale disposizione, a indicare che quella condizione di creatura crea una relazione (la vita ti è donata da Qualcuno)». Kafka ha scritto che la condizione ferita dell’uomo dipende non solo dall’aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, «ma anche dal non aver mangiato quello della vita».
Non può esserci vita senza verità, non c’è vita senza domanda inquieta sul proprio destino: secondo Alessandro D’Avenia, da Matrix alla filosofia, fino alla religione il tema è tutt’altro che in secondo piano anche in questi primi anni Duemila. «Essere Sapiens è essere “Conosci te stesso”, cioè accettare la propria finitezza, e non trasformarla in rabbia distruttiva ma in creatività: imperfezione, incertezza, inquietudine sono sinonimo di ricerca e non di paralisi, di audacia e non di paura, di viaggio e non di violenza». Secondo lo scrittore allievo da piccolo di Don Pino Puglisi, il nodo della vita è tutta in quella relazione “generativa” con «che ci supera, fino a scoprire il divino in noi; Nella mia vita quando ho cercato di eliminare l’inquietudine, non solo non ci sono riuscito ma ho perso occasioni di crescere e di creare (due verbi che originano dalla stessa antica radice, e che danno lo stesso frutto: l’uomo), perché sono rimasto bloccato dalla paura o, peggio, ho cercato la pace nell’illusione di non morire che dà il potere. Invece quando ho deciso di accogliere quell’inquietudine non come debolezza ma come segno della presenza del divino in me, si è sempre trasformata in motore creativo e di crescita: energia per correre il rischio». Tornando “a bomba” sul Nobel per la Medicina, il pensiero di D’Avenia è legato a doppio filo alla sfida che ogni giorno attende l’essere umano in questo mondo: «Ognuno ha il suo e il coraggio per affrontare l’ignoto lo trova nel suo DNA di Conosci te stesso. Un’educazione che rimette al centro il nostro essere Sapiens, non solo non nasconde ai ragazzi la fatica della condizione di uno che sa che morirà (o rischi o ti estingui), ma svela anche la terribile ambiguità di quel rischiare per riuscire a non morire (o crei altra vita o divori quella che c’è). A noi la scelta».