Prima i Byrds, e già era una star. Poi CSN (Crosby, Stills & Nash). Talvolta Neil Young. Ma da solista? Un album nel 1971, in cui mentre molti ancora credevano al sogno hippie, lui già si faceva profondissime domande (If I Could Only Remember My Name). Poi niente (si fa per dire, nel frattempo era diventata una leggenda vivente con Stills e Nash ed era passato per abusi di ogni tipo e carcere) fino al 1989, con la risposta al primo, a 18 anni di distanza: Oh Yes I Can. Come a dire: sì, ora il mio nome me lo ricordo, ho trovato me stesso. Un nuovo amore (che durerà fino a oggi), una ritrovata fiducia nella vita, ma al tempo stesso uno sguardo amaro sul passato (riascoltatevi almeno la meravigliosa Tracks In The Dust, in cui oltre al fantastico apporto chitarristico di Michael Hedges, si recita “e tutta quella speranza hippie non è che una stampella” e il tempo passa veloce e non restano che tracce nella sabbia – scusate la lunga parentesi). Poi un altro semi-trascurabile album nel 1996 e più nulla (da solista), per quasi vent’anni.
Negli ultimi sette anni quasi una frenesia: la bellezza di cinque lavori, tutti di ottimo livello, fra cui il nuovissimo For Free, di cui forse, a breve, finalmente parlerò. Ah, si tratta di David Crosby, per gli amici Croz.
Per la verità, in quei vent’anni a cavallo del 2000, oltre all’attività con i compagni di sempre, Stephen Stills e Graham Nash, e successivi litigi e separazioni, un fatto è stato estremamente importante: l’incontro con un suo figlio naturale, il musicista James Raymond, con cui Crosby ha iniziato un rapporto umano e artistico che li ha portati anche a quest’ultimo lavoro. E dunque a che disco siamo di fronte?
Il titolo dell’album è preso da quello di una famosa canzone di Joni Mitchell, peraltro presente alla traccia 7 in una versione minimale, pianoforte, basso leggero e voci, Croz e la bravissima cantante e polistrumentista texana Sarah Jarosz. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dall’inizio.
Il brano di apertura River Rise vede affiancarsi all’artista la voce di Michael McDonald in una canzone aperta, leggera, una sorta di inno di positività in veste – mi si perdoni – soft rock con grandi tessiture vocali. Grossomodo lo stesso clima (ma in un mood più misterioso, fascinoso) si respira nella successiva I Think I, dove Crosby, prossimo alle 80 primavere che compirà il prossimo 14 agosto, si dichiara convinto di avere trovato la sua strada, e averla trovata da solo, in mezzo alle varie prove della vita (e sono state tante). Nota bene: davvero interessanti gli strati di arpeggi di chitarre acustiche, un plauso agli arrangiamenti del figlio James Raymond e alla pregiata produzione.
Si prosegue sullo stesso tenore con le raffinate e intriganti armonie della traccia 3, The Other Side Of Midnight, racconto di un sogno, e una sorta di ode ad un amore che viene dall’alto. Le armonie vocali non possono non far pensare a Stills e Nash, anzi li ricordano apertamente (o li fanno un pochino rimpiangere, decidete voi). Più funky l’atmosfera del brano numero 4, il primo con un consistente apporto di pianoforte elettrico e fiati, e c’è un motivo. La canzone è un regalo fatto niente meno che da Donald Fagen (anima creativa degli Steely Dan, band preferita dal nostro e nota per la commistione fra perfette canzoni pop e atmosfere jazzate). Si sente la zampata di Fagen in questa Rodriguez For A Night, che ricorda le atmosfere del suo celeberrimo album solista The Nightfly, il disco perfetto, usato ancora oggi a 40 anni di distanza per testare gli impianti audio.
Chitarre acustiche intrecciate per l’inizio di Secret Dancer, delicata ballata mid-tempo che intreccia creazione e vita. Ships In The Night ricorda con le sue armonie modali alcune delle canzoni più aggressive del nostro, forse rimandando vagamente all’antica Wooden Ships e alle sue atmosfere post-disastro nucleare. E subito dopo appare la semplice e bellissima già citata versione di For Free.
Il titolo dell’album e il proporre questa canzone (scritta originalmente per un musicista che suonava gratuitamente all’angolo di una strada), è sicuramente anche un riferimento dell’artista al deprezzamento della musica dall’avvento dello streaming e il conseguente cambiamento delle dinamiche e dei proventi da diritti d’autore. Non dimentichiamo che Crosby è fra quegli artisti che hanno deciso di vendere il loro catalogo per sopraggiunte difficoltà economiche.
La rotolante Boxes si ascolta volentieri, ma, a mio parere, senza grandi picchi di genio, e porta ai delicati arpeggi acustici di Shot At Me, dialogo al bar con un giovane appena tornato da una missione in Medio Oriente, cruda ballata acustica in cui fa capolino il pacifismo del vecchio leone, Croz, attraverso le parole del giovane che ringrazia di essere sopravvissuto (“non mi hanno sparato, per oggi”).
E siamo al brano finale, forse la canzone migliore dell’intero lavoro, sicuramente la più intensa, visto che si tratta di una accorata riflessione sulla vita, sull’avvicinarsi della morte e sul destino. I Won’t Stay for Long, non starò qui per molto tempo, dichiara Crosby, più volte miracolato e, come già ricordato, alla soglia degli 80 anni. “Non so se sto morendo o sto per rinascere, ma mi piace stare con te, oggi”. Il poter vivere, il poter respirare è vissuto come un dono. E la musica accompagna la splendida voce di Crosby, ancora smagliante e ricca di mille sfumature e di grande profondità.
Ecco, questa è sicuramente la cosa più sorprendente, oltre alla bellezza degli arrangiamenti e delle canzoni, una voce che ancora sfida il tempo e ci regala l’ennesimo album di ottima fattura. Buon ascolto e alla prossima.
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