Davide Giri è stato ucciso sostanzialmente perché bianco e italiano. Il 30enne ricercatore ammazzato ad Harlem (New York) è stato trucidato e accoltellato dal 25enne afroamericano Vincent Pinkney: motivo? Faceva parte della gang “Everybody Killas”, veniva da 11 arresti e tutti per aggressioni gravi a passanti e semplici persone per strada: ha attaccato Davide perché era il primo che gli capitava a tiro. E perché non un “fratello”: «L’aggressore pare sia un fanatico razzista che odia i bianchi. Mio figlio ha tutte le caratteristiche per essere bersaglio di uno così, pelle e capelli chiari», ha spiegato al “Corriere della Sera” il padre di Roberto Malaspina, il turista italiano aggredito (e per fortuna sopravvissuto) poco dopo l’uccisione di Davide Giri.



In America gli investigatori sembrano abbastanza convinti che il motivo razziale sia stato alla base dell’aggressione omicida: bene, ci aspetteremmo a questo punto prime pagine, approfondimenti, editoriali di riflessione sul dramma avvenuto ad un nostro connazionale. E invece no. Tanto in Italia quanto sulla stampa “liberal” americana, il motivo dell’assassinio di Davide viene come sottaciuto. Oggi in questo senso è una “mosca bianca” e particolarmente contro corrente Federico Rampini sul “CorSera”: scrive che in sostanza la stampa di sinistra sta in qualche modo “nascondendo” il caso Giri in quanto un bianco ucciso da un afroamericano va contro la narrazione in stile Black Lives Matter ormai per la maggiore.



L’IPOCRISIA A SINISTRA SULLA MORTE DI DAVIDE GIRI

Rampini parte dal New York Times e prosegue poi con tutta la stampa liberal d’Oltreoceano (che lui conosce bene essendo stato per decenni corrispondente di “Repubblica” dagli States): «L’interesse del quotidiano, e il vigore investigativo messo in campo, sarebbero stati diversi se le parti fossero state rovesciate», sentenzia con coraggio il recente neo-editorialista del CorSera. «Se la vittima fosse stata afroamericana e l’omicida un bianco – puntualizza ancora Rampini – a maggior ragione se quel bianco fosse stato un membro di qualche organizzazione che predica e pratica la violenza, per esempio una milizia di destra. La tragedia sarebbe finita in prima pagina, un team di reporter sarebbe stato mobilitato per indagare l’ambiente dell’omicida, la sua storia e le sue motivazioni». Sebbene si sappia ormai quasi tutto del 25enne killer di Davide Giri, sui giornali esteri e pure su alcuni dei nostri le uniche notizie stringate che appaiono sono nome, cognome e il fatto che fosse pluripregiudicato: «l New York Times ha scelto una reticenza coerente con la linea editoriale degli ultimi anni. I canoni del giornalismo americano sono stati stravolti, in particolare durante l’era di Donald Trump quando nelle redazioni dei media progressisti è diventato un vanto praticare il “giornalismo resistenziale”», attacca Rampini a chiosa del suo pezzo. Dopo l’orrenda e ignobile morte di George Floyd, afroamericano ucciso dalla violenza razzista del poliziotto bianco Derek Chauvin, in Parlamento e in alcuni programmi tv si assistette a inginocchiamenti vari da parte di esponenti della sinistra: per la sorte di Davide Giri perché non può accadere nel medesimo modo? Le “black lives” contano in quanto sono vite umane: e come loro, contano anche quelle “bianche”, “asiatiche” eccetera. Eppure per certa stampa (e cultura) sembra quasi esserci una “differenza” di piani tra certe battaglie ed altre…

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