La procura di Vicenza ha aperto un’indagine per omicidio colposo dopo la morte di Davide Rebellin, il campione di ciclismo che è stato investito e ucciso da un tir fantasma. «Spero che trovino quel Tir, spero davvero che chi lo guidava non si sia accorto di nulla. Sarebbe atroce, inaccettabile che l’autista si fosse reso conto di aver investito Davide per poi ripartire come se avesse messo sotto un gatto o un cane, non un uomo», spiega Filippo Pozzato, collega di Davide Rebellin per 15 anni. A 48 ore e passa dall’incidente, non vi è alcuna traccia del mezzo pesante, in particolare un tir rosso su cui gli inquirenti si sono concentrati dopo aver visionato svariate ore di filmati nelle varie telecamere presenti nei pressi del luogo dell’investimento.
Impossibile che l’autista non si sia accorto di nulla, sottolinea il Corriere della Sera, e non è da escludere che il camionista si sia diretto verso il Brennero e che sia ora già lontano. Carlo Rebellin, fratello di Davide, chiede all’autista di «farsi vivo, di spiegare la situazione perché noi familiari possiamo accettare qualunque errore umano ma non sopportiamo l’idea della fuga. Davide era espertissimo memoria, non possiamo credere che si sia trattato di un suo errore».
DAVIDE REBELLIN, POZZATO: “DOBBIAMO FERMARE QUESTA TRAGEDIA”
Dello stesso pensiero è Brigida Gattere, la mamma della vittima, che non si da pace: «Spero che lo trovino — le sue parole in lacrime — e sperò che se verrà fuori che davvero è scappato dopo aver ucciso mio figlio, la giustizia possa fare il suo corso: non si può morire cosi».
In conclusione le parole di nuovo di Pippo Pozzato, cresciuto nel vicentino come Davide Rebellin, ed entrambi residenti a Montecarlo: «Lui riservatissimo, io più mondano io aggressivo in gara, lui mite, pronto a chiedere scusa anche anche ai colleghi che gli facevano un torto. Prima del ritiro aveva partecipato alle corse “gravel” che io organizzo, credeva come me che il futuro del ciclismo fosse su strade sterrate per sfuggire a un traffico meno rabbioso di quello che c’è oggi qui in Veneto dove alcune ciclabili sono pericolose perché c’è un passo carrabile ogni 50 metri. È per lui, per Scarponi, per i cento ciclisti non famosi morti quest’anno che dobbiamo fermare questa tragedia».