Il video è virale da qualche giorno ma la bufera è “recente” contro/a favore di Piercamillo Davigo, il noto magistrato membro del Csm e dal passato nel pool di Mani Pulite sullo scandalo Tangentopoli: postato in rete 10 mesi fa, in sostanza si vede il giudice teorizzare, non senza le risate in sottofondo della platea, che in Italia per paradosso è più dura divorziare che non uccidere direttamente la propria moglie. O almeno, seguendo il paradosso-confronto di Davigo, questo avveniva prima che il legislatore accorciasse i tempi delle separazioni matrimoniali: 30 anni per assassinio volontario con le attenuanti generiche e il rito abbreviato rischiano di diventare anche 5, spesso dunque molti meno del tempo necessario per svolgere e concludere una causa di separazione. Si tratta ovviamente di un ragionamento “per assurdo”, suscitato per evidenziare il dramma degli incastri giudiziari e processuali, eppure per il presidente di Sezione presso la Corte di Cassazione (e membro Csm) le critiche sono piovute addosso da più parti: Giovanni Flora, professore di diritto penale a Firenze, accusa Davigo di assecondare il giustizialismo mentre l’associazione D.i.Re (la rete dei centri antiviolenza sulle donne) in quel video il magistrato istigherebbe addirittura al femminicidio.



DAVIGO “CONVIENE UCCIDERE LA MOGLIE, NON DIVORZIARE”

Tanto l’Adkronos quanto “la Legge per Tutti” ha raccolto il materiale necessario per provare ad approfondire il più possibile questo “caso virale” e le vere intenzioni del magistrato ex Mani Pulite. «Siamo in un sistema criminogeno», premette Piercamillo Davigo, salvo poi puntualizzare «Per la soppressione del coniuge la pena prevista è trent’anni. Ma vediamo cosa succede. Se uno ammazza la moglie e confessa, porta a casa le attenuanti generiche. Grazie alla sua versione, l’unica, magari si becca anche l’attenuante della provocazione. E risarcisce il danno che in realtà è il costo della separazione». Secondo il magistrato, a quel punto la somma delle attenuanti più il processo con rito abbreviato può far diventare i 30 anni iniziali addirittura 4 anni e 4 mesi, da scontare non in carcere però: «I requisiti non ci sono. Pericolo di fuga? Si è costituito. Inquinamento delle prove? Ha confessato. Reiterazione del reato? È vedovo!. Un anno e quattro mesi ai domiciliari e poi servizi sociali». Tra le risate del pubblico arriva poi la conclusione del ragionamento, con un pizzico estremo di amarezza «E dal giorno dopo può fare la comunione, col divorzio no». Alfredo Mantovano, magistrato di Cassazione, prova a prendere sul serio l’intento di Davigo e spezza sul nascere le critiche per istigazione al femminicidio «è sembrato un procedere per paradossi, avendo comunque un obiettivo: sottolineare come la certezza della pena, di cui tanto si parla, sia vanificata da una serie di benefici che si trovano nel Codice penale e in norme di ordinamento penitenziario». Lo stesso Mantovano poi sottolinea come in quel video Davigo «Con carica provocatoria e polemica nel sottolinea un problema serio: una volta che la condanna diventa definitiva, la pena viene vanificata dalla somma dei benefici. Io aggiungo: non solo la sanzione non viene applicata, ma viene applicata quando la possibilità di assoluzione c’è ancora». Di contro però Mantovano nota con vena polemica «io avrei completato la riflessione dicendo che se tutto questo emerge come ingiusto, lo è altrettanto il fatto che la pena detentiva piena viene espiata quasi sempre in custodia cautelare, prima di un accertamento giudiziario definitivo. La diffusione del fenomeno è testimoniata dal fatto che ci siano decine di migliaia di indennizzi per ingiusta detenzione. Il sistema dunque va dunque riequilibrato».



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