Dopo l’indagine a suo carico per rivelazione di segreto d’ufficio sul caso Amara-Ungheria, l’ex Csm Piercamillo Davigo punta tutta la sua difesa su 4 capisaldi già espressi dai suoi avvocati e da lui stesso negli interrogatori dei magistrati: la legittimità della ricezione dei verbali dal pm milanese Paolo Storari; la differenza tra verbali autentici e firmati (mai avuti) e «bozze computerizzate in word non firmate»; la doverosità del suo comportamento successivo; l’impossibilità di formalizzare queste comunicazioni.
Oggi su “La Stampa” Giuseppe Salvaggiulo ricostruisce quanto finora affermato dall’ex giudice di “Mani Pulite” nelle sedi giudiziarie: in primo luogo, Davigo non si sente di aver violato le regole avendo ricevuto le carte dal pm Storari, «in quanto a un membro del Csm non è opponibile il segreto». Sostiene poi di aver avuto in mano solo copie e bozze, mai effettivi verbali secretati e soprattutto dopo aver preso i verbali della Loggia Ungheria ha comunicato ad alcune personalità della magistratura, «informando «con cautele estreme e nel rispetto delle regole, cristallizzate nelle circolari, i membri del comitato di presidenza del Csm» (si tratta di Ermini e Salvi quasi immediatamente dopo la ricezione nel maggio 2020, Curzio nel luglio 2020, altri 5 consiglieri del Csm nelle settimane successive). Da ultimo, Davigo è convinto di non aver avuto sempre l’impossibilità di formalizzare quelle comunicazioni, in quanto «non richiesta da nessuno dei membri del Csm con cui avevo parlato, proprio per tutelare il segreto, che altrimenti sarebbe durato venti minuti ottenendo la vanificazione dell’indagine sulla loggia, effetto opposto a quello da lui desiderato», sottolinea l’ex Csm secondo la ricostruzione de “La Stampa”.
FERRI, VALORI E LA P2
Leggendo i verbali di Amara in Procura di Milano, Davigo si trovava di fronte uno scenario in cui diverse personalità della politica, della magistratura, esercito e quant’altro venivano inserite nella presunta “Loggia Ungheria”, «elementi che suscitarono in me l’allarme per la possibile esistenza di una nuova P2». In quel frangente, avrebbe raccontato lo stesso Davigo davanti ai magistrati nelle scorse settimane, sarebbe emerso un ricordo di quanto avvenuto nel 2010 ad una cena a cui partecipò: era stato invitato da Cosimo Ferri – in quegli anni consigliere del Csm per Magistratura Indipendente, stessa corrente di Davigo – ma al tavolo trovò altri due commensali. Celestina Tinelli (avvocatessa in quota Pd, designata come membro laico nel Csm) e Giancarlo Elia Valori: proprio questo secondo personaggio suscitò addirittura del «terrore» in Piercamillo Davigo che conosceva di fama Valori in quanto «unico membro espulso della P2». Ebbene, nel verbale di Amara emergeva il nome di Valori come «capo della cellula messinese della loggia Ungheria», e addirittura l’ex Pd Ferri ricopriva, secondo le accuse contenute nei verbali, «incarico molto importante in Ungheria» quasi fosse la vera mente dietro la “Loggia”. Tutte le dichiarazioni e la difesa di Davigo saranno riprese nelle prossime settimane dalla Procura di Brescia, mentre quella di Perugia si occuperà di valutare la veridicità o meno delle dichiarazioni dell’affarista Amara.