Ieri la Cina ha introdotto dazi sull’importazione di brandy dall’Unione europea che hanno penalizzato, in particolare, alcune marche francesi. La decisione arriva dopo il voto dell’Unione a favore dei dazi sull’importazione di vetture elettriche dalla Cina. Per il ministro del Commercio francese i dazi sono “incomprensibili” anche se il supporto di Parigi alle misure contro le auto cinesi non è stato un mistero. È possibile che siano in arrivo altre contromisure perché il ministero del Commercio cinese ha fatto sapere che sono in corso valutazioni per altri dazi sulle importazioni di suini dall’Europa e anche su vetture di grossa cilindrata. Nel primo caso ad andarci di mezzo sarebbe la Spagna e nel secondo la Germania.



Poco importa se l’industria auto cinese sia pesantemente sussidiata o meno, quello che importa è che da ieri è chiaro che ogni misura europea avrà un corrispettivo. Gli europei e gli occidentali hanno comunque beneficiato per decenni dei prodotti a basso, o bassissimo, costo cinesi.

In questo nuovo mondo fatto di conflitti commerciali bisogna scegliere molto bene le proprie battaglie e condurre altrettanto bene quelle che si decidono di fare. Questo vale per chiunque, ma per l’Europa maggiormente. L’Europa non ha grandi risorse naturali, non ha proiezione geopolitica per controllare lunghe catene di fornitura e non è uno Stato compiuto. Questo secondo elemento non è banale perché gli spagnoli non erano favorevoli ai dazi contro le auto cinesi proprio per il timore di venire coinvolti e subire la risposta cinese sulle loro esportazioni di maiale. L’Europa decide di aprire il confronto sulle vetture elettriche perché la Cina è talmente più competitiva che senza queste misure tutta la produzione europea sarebbe fuori mercato. I dazi contro le importazioni di auto elettriche cinesi possono arrivare al 45%, un numero che dà la misura di quale sia il divario da colmare.



L’Europa non ha vantaggi competitivi sulle auto elettriche, ma li aveva sui motori a combustione di piccola cilindrata, particolarmente efficienti, e anche sul diesel più evoluto. L’Europa avrebbe potuto andare allo “scontro” semplicemente scegliendo di non sposare un modello, quello dell’auto elettrica, che la vedeva perdente. Bastava rimanere sull’auto tradizionale per evitare questo rischio. Si poteva lavorare sull’efficienza o sui carburanti alternativi e destinare l’auto elettrica alla “nicchia” delle grandi città. Oggi, tra l’altro, si moltiplicano gli appelli perché nella transizione green si ritorni al principio della neutralità tecnologica evitando di sposare soluzioni troppo rigide.



Gli Stati Uniti, intanto, continueranno a importare uranio dalla Russia fino al 2027; allora saranno passati quasi sei anni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Prima di chiudere la porta a un Paese da cui dipendono il 20% delle importazioni di uranio gli Stati Uniti si sono presi tutto il tempo necessario per trovare un’alternativa. Washington ha comunque la possibilità di una battaglia a viso aperto forte di risorse energetiche illimitate, della scelta di accantonare la transizione, di un esercito con pochi uguali e anche della valuta di riserva. Tutte cose che mancano all’Europa che oltretutto è divisa al suo interno.

La strada della guerra commerciale come scelta strategica e delle battaglie ideologiche senza compromessi per l’Europa è particolarmente costosa economicamente e politicamente. Come minimo ci si aspetterebbe grande accortezza nella scelta degli obiettivi che devono essere limitati e per cui ci si deve preparare. Tutto il contrario di quello che si vede.

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