La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti continua a progredire. Ieri gli Stati Uniti hanno deciso di impedire alle compagnie aeree cinesi di volare dalla Cina agli Usa dato che quelle americane non possono fare servizio passeggeri verso la Cina. Il tentativo di ristabilire la reciprocità tra Stati Uniti e Cina ha ampi spazi di iniziativa; la guerra commerciale potrebbe essere appena iniziata è arricchirsi di molti nuovi interventi vista la sproporzione oggi in essere. La novità di ieri però rischia di nasconderne un’altra potenzialmente più interessante.



Il ministro delle Finanze francese ieri, ai margini di una conference call tra i Paesi del G7, ha dichiarato che c’è una contraddizione evidente tra gli appelli all’unità degli Stati Uniti e la minaccia di nuove sanzioni; lo stesso ministro poi ribadiva l’intenzione del proprio Governo di andare avanti con la “web tax” che colpirebbe proprio i colossi americani del settore. Dietro queste dichiarazioni si può intravedere una nuova puntata delle tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti oltre a quelle evidenti tra Cina e America.



L’Unione europea, dal punto di vista americano, non può continuare a godere del suo status nei rapporti transatlantici senza una presa di posizione più netta nei confronti della Cina. Senza questa presa di posizione, gli Stati Uniti non avrebbero nessun interesse a mantenere uno status quo che commercialmente li danneggia o potrebbero semplicemente esercitare pressioni che colpiscono al cuore il modello basato su esportazioni e mercantilismo dell’Europa. Gli europei, tedeschi in primis, hanno molto più bisogno del mercato americano di quanto gli americani abbiano bisogno di quello europeo; soprattutto, ma questo è un altro capitolo, se il mercato europeo nel frattempo si autodistrugge.



L’alternativa, per l’Europa, sarebbe quella di buttarsi sul partner cinese, ma le controindicazioni sono molte. La prima è che la Cina è una dittatura comunista in cui le proteste a cui assistiamo oggi negli Stati Uniti sarebbero semplicemente impensabili. La seconda è l’industria europea e tedesca ha perso competitività nei confronti di quella cinese. La Cina non ha più bisogno dell’industria europea dato che tecnologicamente l’ha raggiunta e sorpassata. La Cina ha bisogno di un mercato potenziale di sbocco di centinaia di milioni di persone, ma questo si pone, evidentemente, in contrasto con gli interessi europei. L’Europa non c’è sul 5G, non c’è sulla frontiera dell’intelligenza artificiale e per ora nemmeno su quella dell’auto elettrica o sulle infrastrutture.

L’ambizione di essere un attore terzo si scontra con una realtà deprimente in cui l’Europa assiste sia al disastro in Libia dove non è presente, se non in qualche modo a livello “personale” di qualche Stato, sia, in questi giorni, alle provocazioni turche nei confronti della Grecia e delle sue acque. La “notizia” di nuove tensioni commerciali sull’asse Europa-Stati Uniti è pessima sia per i suoi risvolti economici che per quelli geopolitici. L’Europa, geopoliticamente, è un nano senza Costituzione e senza esercito. La sua anomalia ha potuto vivere e persino prosperare grazie a uno scenario geopolitico che sembra avviarsi alla conclusione e che la lascia con il cerino in mano. Gli americani hanno detto in tutte le salse che non sono più disposti a tollerare i viaggi gratis sia sulle relazioni commerciali che sulla spesa militare. Sono ipocriti e si ritirano perché conviene? Non importa perché questo è quello che sta accadendo.

Buttarsi sulla Cina sarebbe un azzardo pericoloso. Né gli Stati Uniti, né la Gran Bretagna, né, molto probabilmente, la Russia vorrebbero mai assistere a un’Unione europea che si “attacca” alla Cina. Soprattutto viste le derive antidemocratiche della Cina degli ultimi anni evidenti sia nei poteri del suo Presidente, sia nel rapporto con l’ex colonia britannica. Piuttosto che assistere a questo scenario la vorrebbero frantumata; uno scenario cui potrebbero certamente tendere anche diversi Paesi membri nel tentativo di uscire da una gabbia che, geopoliticamente, impone scelte che dieci anni fa non imponeva. Per esempio, quella di ritrovarsi alleati strategici della Cina e non degli Stati Uniti.