Trump lo ha detto e ripetuto in campagna elettorale. E ora si appresta a farlo. L’imposizione di dazi sulle merci provenienti dall’estero è uno dei capisaldi della sua politica economica. Peccato che questo desti qualche preoccupazione nelle imprese USA, i cui CEO si sarebbero attivati dietro le quinte per fare in modo che il nuovo presidente americano riveda questa sua impostazione. Nel frattempo i dati del manifatturiero statunitense segnano un calo in dicembre proprio nel timore che i dazi facciano aumentare il costo delle materie prime. Trump, da parte sua, osserva Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, ha calato anche un altro asso nei confronti dell’Europa, chiedendole di acquistare petrolio e gas per mettere in equilibrio una bilancia commerciale che pende a favore degli europei. Una decisione nella quale, però, ci sarebbe lo zampino di Biden, autore di un altro dei suoi sgambetti alla nuova amministrazione USA.
I CEO di diverse aziende americane starebbero cercando di convincere Trump a non usare l’arma dei dazi, anche nei confronti dell’Europa. Il nuovo presidente potrebbe ripensarci sulla base di queste pressioni?
È indubitabile che Trump voglia riequilibrare la bilancia commerciale. Se guardiamo i dati del 2023, l’Europa ha esportato verso gli USA beni per 502 miliardi e ne ha importati per 344. Inizialmente Trump aveva collegato l’imposizione dei dazi all’aumento delle spese per la difesa, adesso però c’è anche un tema politico. I CEO temono che con i dazi ci sia un aumento dei costi per le aziende, però l’ultima minaccia per gli europei del neoeletto presidente non riguarda più solo la difesa, ma petrolio e gas.
Che cosa è cambiato?
Qui si intersecano due partite che sono tutte interne agli USA. Lo scorso anno Biden aveva annunciato lo stop ai nuovi progetti per l’export del gas naturale liquefatto, creando malumori tra gli addetti ai lavori. In seguito, il Dipartimento dell’Energia americano aveva realizzato degli studi su questo tema. Guarda caso, mentre si sta concludendo l’amministrazione Biden, lo stesso Dipartimento ha reso pubbliche ricerche secondo le quali non è il caso di aumentare l’export di gas verso l’Europa perché, se lo si facesse, nel 2050 il prezzo negli Stati Uniti aumenterebbe del 30-40% e le bollette schizzerebbero verso l’alto. Molti hanno letto questa uscita come uno sgambetto politico di Biden all’amministrazione Trump.
Quindi l’ultima uscita di Trump relativa alla UE in realtà è stata dettata in qualche modo da un’iniziativa dell’amministrazione Biden?
Secondo la logica dell’America First, Trump è partito pensando di introdurre dazi anche nei confronti della UE per tutelare gli interessi americani. Su questo però si interseca la partita del petrolio e del gas. Non è un caso se ha posto il problema di un maggiore acquisto di questi beni energetici da parte europea. Vuole invertire la politica di Biden. In questo contesto si inserisce un elemento che ricorda il contrasto tutto italiano fra politica e magistratura.
Vale a dire?
Il D.C. Circuit, il Tribunale di Washington, un po’ il nostro TAR del Lazio, potrebbe ribaltare, in caso di ricorsi, le decisioni pro-export di petrolio dell’amministrazione Trump. Si tratta di giudici federali.
Perché Biden in precedenza aveva bloccato l’export di gas?
La partita del petrolio e del gas è collegata alla transizione ecologica. Il timore degli americani era che rendendo troppo conveniente il gas naturale o il petrolio americano per gli europei si remasse contro la transizione verde. Ora però il mandato di Biden è al termine e ribadire che il gas non va esportato appare in questo momento solo un modo di rendere la vita difficile a Trump.
Quindi fra gli imprenditori preoccupati per le future politiche trumpiane ci sono anche quelli dell’oil & gas?
Parliamo di un settore che ha bisogno di una programmazione a lungo termine, che queste incertezze impediscono di sviluppare. I CEO dell’oil & gas da un lato e quelli del manifatturiero dall’altro sono un po’ preoccupati perché non sanno cosa succederà. Per le imprese il futuro è adesso, è un orizzonte concreto di scadenze e obiettivi che hanno bisogno di decisioni immediate.
Quindi le imprese vedono i dazi, per le conseguenze che possono avere, come l’inizio di un possibile periodo di incertezza?
Sì, anche se alle aziende dell’oil & gas fa comodo che Trump dica all’Europa: “Se non acquistate il nostro gas e il nostro petrolio, metteremo i dazi”. Per quanto riguarda il manifatturiero, invece, che deve importare materie prime, la prospettiva è quella di un aumento dei costi delle forniture.
All’inizio si parlava soprattutto di dazi americani nei confronti della Cina, poi però Trump ha chiarito che la stessa politica la vuole applicare nei confronti del Canada, del Messico, dei Paesi europei. È questo, quindi, il metodo che segue nella sua politica economica?
È un problema di bilancia commerciale. Trump è un protezionista che usa la leva dei dazi anche come leva politica. A Canada e Messico ha detto di proteggere i loro confini, di non lasciare passare migranti, altrimenti, appunto, avrebbe messo i dazi. E quello che dice fa: lo ha dimostrato rivedendo il NAFTA, mettendo dazi sull’acciaio europeo.
Ma la politica dei dazi tiene, a lungo andare, o anche Trump sarà costretto a rivedere i suoi programmi?
Trump ha anticipato una tendenza. Ora si parla di deglobalizzazione e lui è stato il primo a mettere in dubbio l’operato degli organismi internazionali e a rilanciare lo slogan America First. Dopo il suo mandato qualcosa è rimasto. Anche l’Inflation Reduction Act di Biden, dal punto di vista dei sussidi alle imprese che investono in America, non è molto distante da questa logica.
Quindi la battaglia contro i dazi da parte delle imprese è una battaglia persa? Trump non rinuncerà a questa politica?
Non è detto, non ha interesse a penalizzare le imprese americane del manifatturiero. Usa la retorica come leva politica. E non è l’unico a farlo. Ricordo quando Obama disse all’Italia: “Se non comprate gli F-35, non pensate che vi difenderemo”.
Uno pragmatico come Trump, però, potrebbe togliere i dazi se vedesse che danneggiano il manifatturiero USA?
Toglierli no, ma calibrarli sì. Misurarli in modo tale che alla fine non si rivelino un boomerang, altrimenti sarebbe un suicidio politico.
Potrebbero semplicemente servirgli per siglare degli accordi?
Certo, lo ha anche già fatto. Rivede gli accordi in base a quello che lui ritiene essere l’interesse degli USA.
(Paolo Rossetti)
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