Non riuscì al Duce, ma è riuscito ai gestori di stabilimenti balneari: la foga riformatrice del premier Mario Draghi si è infranta sul bagnasciuga. Il 24 giugno del 1943 Mussolini disse al Direttorio del Partito Fascista che il nemico, cioè gli americani che preparavano lo sbarco in Sicilia, sarebbe stato fermato sulla “linea che i marinai chiamano del bagnasciuga”, e gli americani sbarcarono ugualmente. Oggi tutti gli italiani – ovvero: alcuni di essi – aspettavano il Governo al varco della liberalizzazione delle licenze di gestione degli stabilimenti balneari, e il Governo è stato fermato sul bagnasciuga, perché non ha osato decidere di imporre le gare pubbliche in materia, rimandando la palla ai Comuni attraverso l’imposizione di una mera operazione trasparenza, che imponga la pubblicità dei magrissimi proventi che i sindaci intascano da quelle concessioni accontentandosene, forse, perché compensati in altro modo. Si vedrà.
Di certo, il ddl concorrenza approvato ieri dal Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Mario Draghi e del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, con 4 mesi di ritardo sul ruolino di marcia prestabilito, ha confermato la natura pragmatica e “risultatista” del Premier, e poco emozionale. E stavolta Draghi l’ha detto chiaro e tondo: farà quel che conta di riuscire a far approvare dai partiti, per non bruciarsi pretendendo troppo e d’altronde per non rinunciare a provarci.
Diciamo innanzitutto le cose che il Ddl non fa.
Non liberalizza le concessioni balneari. Né le bancarelle degli ambulanti. I notai restano padroni in casa loro, esentati dal rischio che qualche collega dei distretti notarili vicini vada a fargli concorrenza. La realizzazione di nuovi inceneritori dei rifiuti non viene accelerata. Come non si accelera – incredibilmente – sulle concessioni idroelettriche.
Nulla di fatto, dunque? No: qualcosa di incisivo il ddl lo fa sui servizi pubblici locali e sulle reti telematiche. Sul primo tema, basti leggere il passaggio testuale del documento: “Si rafforza la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici locali e si razionalizza il ricorso da parte degli enti locali allo strumento delle società in house, anche attraverso la previsione dell’obbligo di dimostrare, da parte degli enti medesimi, le ragioni del mancato ricorso al mercato, dei benefici della forma dell’in house dal punto di vista finanziario e della qualità dei servizi e dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni attraverso tale sistema di auto-produzione”. Non male: qualcosa di più accadrà.
Interessante il punto dove il ddl prevede che “riguardo alla realizzazione di infrastrutture di nuova generazione la norma agevola i lavori per la realizzazione di infrastrutture fisiche consentendo il passaggio su reti già esistenti. La norma inserisce obblighi di coordinamento tra gestori di infrastrutture fisiche e operatori di rete per la realizzazione di reti di comunicazione ad alta velocità”. Sembra una regola scritta su misura di Open Fiber, ma a ben vedere anche di tutti gli altri operatori telefonici che abbiamo bisogno di estendere le loro reti, perché acquistano il diritto di utilizzare le infrastrutture dei concorrenti. Non potrà essere contenta Tim, che ha la rete più capillare: vedremo se e come riuscirà a gestire il nodo.
Comunque: prudenza e pragmatismo, come sempre, con Draghi. Sa di non poter contare su una maggioranza politica forte, sa che anzi i partiti vacillano paurosamente alla rabbiosa ricerca di voti e dunque fa quel che può per non minacciare la stabilità del Governo così importante per la tenuta dell’Azienda Italia sui mercati.
Il Premier giusto per un Paese nell’angolo. Forse l’unico capace di tirarlo fuori dall’angolo. Ma chissà se non avere sogni, o comunque non manifestarli mai sulle cose di casa riservandoli solo a improbabili voli ecologisti, non sia un errore.
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