La legge sul fine vita, approvata alla Camera, crea un’ennesima crepa nella attuale maggioranza. Perché non si tratta tanto di legge sul fine vita, quanto di una legge che crea le condizioni per una sorta di eutanasia estesa a livello sociale, che può creare un rischio permanente per le persone più fragili.
La Camera dei Deputati ha approvato con i soli voti del Centro Sinistra, e con la ostinazione tipica con cui in genere affronta i temi eticamente sensibili, la legge sull’eutanasia. Lo ha fatto innescando un vero e proprio braccio di ferro non solo tra Destra e Sinistra, ma nella stessa maggioranza. Abbiamo assistito ad un completo arroccamento dell’asse Pd-M5S che non ha voluto riconoscere nessun emendamento, nemmeno quelli più ragionevoli e condivisi a livello di comunità scientifica, tra quelli proposti dell’Area del Centro Destra. Particolarmente importante la rottura che ha coinvolto la maggioranza sull’articolo due: 223 sì contro 168 no. Si tratta di un risultato che peserà molto sulla coesione della maggioranza, perché la divergenza emersa sul diritto alla vita e sulla sua indisponibilità crea un vulnus molto pesante all’interno di una maggioranza, tanto ampia quanto fragile.
La cosa più singolare è stata l’ostinazione con cui il Partito democratico ha sostenuto in Aula, sui Mass Media e sui Social, che la legge in discussione, non avesse nulla a che vedere con il recente referendum sull’omicidio del consenziente, appena bocciato dalla Corte Costituzionale. Il che è quanto meno contraddittorio. Acquisita la sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito, ripetutamente citata nel dibattito, ma totalmente ignorata la più recente sentenza con cui è stato bocciato dalla stessa Corte il Referendum sull’eutanasia. L’asse Pd-M5S non ha saputo, o non ha voluto, cogliere lo sforzo fatto dalla Corte per precisare meglio aspetti, costituzionalmente fondati, che avrebbero meritato ben altra attenzione proprio nell’attuale dibattito parlamentare sull’eutanasia. Per la Corte Costituzionale gli articoli 579 e 580 riflettono, nel loro insieme, l’intento di tutelare la vita umana anche nei casi in cui il titolare del diritto intenderebbe rinunciarvi. La Corte ha sottolineato come questi due articoli del Codice Penale costituissero una “cintura di protezione”, sia pure indiretta, rispetto ad eventuali decisioni che avrebbero potuto mettere in pericolo la vita del soggetto, proibendo a chiunque, con esplicite sanzioni penali, di cooperarvi, nonostante ci fosse una richiesta da parte del soggetto.
La più recente sentenza della Corte Costituzionale, bocciando il Referendum sull’eutanasia, ha sottolineato come il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 della Costituzione sia da iscrivere tra i diritti inviolabili dell’uomo e costituisca la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto. Da questo diritto, ha rimarcato la Corte, deriva il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non quello, diametralmente opposto, di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Il Centro Sinistra enfatizzando il principio all’autodeterminazione del soggetto, anch’esso un vero e proprio diritto, ha perso di vista la necessità di un bilanciamento tra i diritti e ha dimenticato che quello alla vita è fonte di ogni altro diritto, compreso quello di autodeterminarsi. C’è stato nel Centro Sinistra Pd-M5S-LEU un accanimento ideologico lungo tutto il dibattito in Aula, che ha precluso ogni possibilità di dibattito, ogni possibilità di ascolto, ogni possibilità di condivisione. Il recente pronunciamento della Corte ha chiaramente dimostrato come l’abrogazione degli articoli del Codice Penale 579-580 non avrebbe permesso di tutelare la vita umana, soprattutto per le persone più deboli e vulnerabili.
E in Senato, dove attendiamo la legge a breve, ripartiremo proprio da qui con determinazione e con maggiore consapevolezza, utilizzando l’attuale sentenza della Corte a difesa del diritto alla Vita e non tollereremo nessun sotterfugio per sottrarre la legge al dibattito in Commissione e in Aula. Faremo tutte le verifiche necessarie, con le relative audizioni di approfondimento. Chiameremo la stessa Corte a chiarire l’enorme bisticcio che si è creato tra le due sentenze. Le chiederemo di pronunciarsi più esplicitamente non solo sul bilanciamento tra i due diritti: quello alla vita e quello all’autodeterminazione, ma anche sulle responsabilità esplicite dello Stato: può il SSN diventare complice di vari tipi di suicidio assistito o deve invece tutelare la vita, soprattutto nei suoi momenti di maggiore fragilità.
Solo l’impegno concreto, esplicito, dello stesso Presidente del Consiglio, e se necessario del Presidente della Repubblica, a permettere di modificare questa brutta legge, appena licenziata dalla Camera, vigilando sugli infiniti escamotage con cui la si vorrà far approvare senza modifiche, può restituire a questa maggioranza una speranza concreta di sopravvivenza per giungere alla sua conclusione naturale, altrimenti assisteremo all’eutanasia di una legislatura.