Il giorno dopo il risultato delle elezioni amministrative che, si diceva, non dovevano avere ripercussioni nazionali, si è consumato uno strappo nella maggioranza. Palazzo Chigi ha infatti convocato un Consiglio dei ministri per ieri pomeriggio sul disegno di legge delega per la riforma fiscale preceduto da una cabina di regia, la quale, però, è stata presto lasciata da Massimo Garavaglia in rappresentanza della Lega. Il successivo Cdm si è comunque svolto senza Giorgetti e gli altri ministri della Lega e ha approvato il ddl delega senza la partecipazione di ministri del Carroccio.



In conferenza stampa Draghi ha detto ai giornalisti che sarebbe stato Salvini a spiegare le ragioni dell’assenza della Lega a palazzo Chigi. E la spiegazione dell’ex ministro dell’Interno è in effetti arrivata poco dopo: “Non è uno strappo, ma una richiesta di chiarezza. Non voto la delega fiscale perché non contiene quello che era negli accordi. I ministri della Lega non possono averla in mano alle 13:30 per una riunione alle 14. Non è l’oroscopo, non è possibile avere mezz’ora di tempo per analizzare il futuro degli italiani. Cè qualcosa da cambiare nella modalità operativa”. Per Guido Gentili, ex direttore del Sole 24 Ore, quello di ieri «è uno strappo politico che potrebbe anche non avere conseguenze importanti e trovare una ricucitura in poco tempo. Certo colpisce questa sterzata della Lega in poco meno di 24 ore».



Quale sterzata?

Commentando il risultato delle amministrative, lunedì Salvini aveva detto: “Se qualcuno usa il voto per abbattere il governo di unità nazionale si sbaglia di grosso. Noi qua stiamo e qua rimaniamo”. Il giorno dopo è però arrivato questo strappo della Lega, nonostante Draghi abbia spiegato in conferenza stampa che non si stanno prendendo impegni vincolanti sulle tasse e che la riforma del catasto richiederà tempo, non dispiegherà i suoi effetti prima del 2026 e “nessuno pagherà di più o di meno”. Forse Salvini ha voluto dare un segnale per riaffermare le sua leadership messa in discussione dopo il risultato elettorale. Penso però che stia diventando sempre più complicato tenere una posizione che vuole essere allo stesso tempo quella della Lega di lotta e quella della Lega di governo.



Non siamo comunque di fronte a uno strappo definitivo…

Esatto, c’è tutto il tempo necessario per ricucire e dato che lo stesso Draghi ha evidenziato che ci sarà spazio per il confronto non si può escludere qualche cambiamento al testo prima dell’approvazione definitiva delle Camere.

Torniamo al risultato delle amministrative. Tra le analisi fatte dai leader dei partiti sul voto ce n’è qualcuna secondo lei sbagliata?

Letta ha sicuramente vinto la sua scommessa a Siena, dove ha corso il rischio di presentarsi senza simboli dei partiti. Il Pd è andato bene, anche se ci sono due importanti città come Roma e Torino dove bisognerà attendere il ballottaggio, ma nel centrosinistra bisognerebbe evitare certi trionfalismi, perché il risultato è dovuto principalmente a una campagna elettorale del centrodestra che non ha funzionato. I dem possono inoltre trarre giovamento dal pessimo risultato, soprattutto al Nord, di M5s: se finora sono stati i 5 Stelle a tenere la bussola della possibile alleanza, ora la situazione si è ribaltata e toccherà al Pd dettare la linea. Resta però il fatto che questa alleanza è tutta da costruire o ricostruire con Conte.

Giorgia Meloni si è detta pronta a votare per Draghi al Quirinale purché si vada a elezioni anticipate. Cosa ne pensa?

Il risultato delle amministrative non avvicina le elezioni anticipate. Inoltre, non indebolisce Draghi, anzi lo rafforza nella sua posizione di “arbitro” della partita all’interno della maggioranza di governo. Penso che la Meloni dovrebbe ragionare meglio sulla difficoltà di tenere due piedi nella stessa staffa. Da un lato, infatti, insiste sulla linea dell’opposizione al Governo, ma contemporaneamente cerca il raccordo con Lega e Forza Italia che fanno parte della maggioranza.

Il risultato delle amministrative allontana le elezioni anticipate perché non convengono a nessuno, a parte forse Fratelli d’Italia e Pd?

In realtà credo che nessuno abbia interesse ad andare a elezioni anticipate. A parte il fatto che Letta ha detto che il Governo esce rafforzato dalle urne, il Pd non ha trionfato e c’è tutta l’alleanza con il Movimento 5 Stelle da costruire: le incognite non mancano e ci vorrà tempo. Anche Fratelli d’Italia non ha avuto risultati straordinari. A Milano, per esempio, il partito della Meloni è sì cresciuto, ma resta ancora dietro a una Lega che ha raccolto meno voti rispetto alle precedenti consultazioni.

Quanto hanno pesato la vicenda Morisi e l’inchiesta di Fanpage su Fratelli d’Italia sul risultato del centrodestra?

Credo non abbiano spostato più di tanto gli equilibri di una campagna elettorale sbagliata da parte del centrodestra.

Sbagliata per via dei candidati?

Sbagliata perché i candidati sono arrivati tardi, ci sono state molte chiacchiere a vuoto prima della loro presentazione, e la scelta non è stata all’altezza della sfida. C’è stata una difficoltà nel mettere in campo una classe dirigente politica di livello.

Dunque è giusta l’autocritica di Salvini.

Per Salvini è scattata sì l’autocritica, ma credo sia chiamato a una riflessione molto più seria e profonda, perché insieme alla Meloni è stato il protagonista di questa campagna elettorale partita con l’idea di vincere. Le cose sono andate diversamente. Come dicevo prima, penso che per Salvini sia in particolare difficile continuare a cercare di essere allo stesso tempo Lega di lotta e di governo: dovrà fare una scelta. Per chiudere il quadro del centrodestra, va detto che Forza Italia continua a parlare di Berlusconi federatore, ma resta aperto da anni, senza che sia stato mai affrontato veramente, il tema della successione alla guida del partito.

Cosa si può dire invece della forte astensione che si è registrata in queste elezioni?

È vero che c’era un trend decrescente che ci stava avvicinando all’affluenza degli altri Paesi europei, ma credo che non basti questo a spiegare il fenomeno cui abbiamo assistito: una manifesta disaffezione da parte degli elettori che invece sul fronte referendario hanno mostrato una partecipazione più sentita, grazie anche alla possibilità di aderire online tramite lo Spid. Da quello che era un voto più locale, nel quale quindi si doveva registrare una partecipazione maggiore, è arrivato invece un segnale di stanchezza nei confronti di un sistema politico percepito nel suo complesso come autoreferenziale. Forse gli elettori erano anche stanchi delle polemiche che ci sono state nell’ultimo mese di campagna elettorale.

Il risultato delle amministrative facilita la vita al Governo?

È un risultato che dovrebbe rendere un po’ più agevole il lavoro di Draghi, che in effetti non ha perso tempo e il giorno dopo la chiusura dei seggi ha richiamato il Governo al lavoro anche per cercare di recuperare il ritardo accumulato su alcune riforme collegate al Pnrr e alla garanzia che l’Europa ha chiesto per l’erogazione delle risorse. Credo inoltre che si dovrebbe aprire nei partiti una riflessione sulla scarsa partecipazione al voto. Ora inizia un periodo intenso che dalla Legge di bilancio ci porterà all’elezione del presidente della Repubblica. Probabilmente le forze politiche dovranno cercare di fare uno sforzo in più per arrivare a una scelta responsabile, che non si traduca in una nuova frattura, in una guerra fra bande. Occorre una soluzione condivisa, quanto più larga possibile. 

Un nome su cui ci sarebbe ampia convergenza è probabilmente quello di Draghi.

Draghi a palazzo Chigi rappresenta una garanzia in Europa e per la stessa Italia, come già dimostrato in questi mesi. Se lo si volesse eleggere al Quirinale bisognerebbe quindi porsi il problema di chi mettere alla guida del Governo.

Per il Quirinale ci vorrebbe quindi una figura simile a quella di Draghi?

Non mi sembra il momento per cercare l’affermazione di uomini di parte. Quando fu eletto, Ciampi ottenne una larga maggioranza di voti. Occorre un metodo di quel tipo, una condivisione sul candidato che metta da parte le polemiche politico-partitiche.

Resta quindi sul tavolo l’opzione di un bis di Mattarella.

Certamente. Nei giorni scorsi è emerso che sta cercando casa a Roma, ma non mi sembra che questo dettaglio sia alla fine significativo. Nei fatti rimane aperta la possibilità che il Parlamento tutto chieda a Mattarella di accettare un nuovo incarico. Di fronte a un pronunciamento pressoché unanime della Camere credo che il presidente della Repubblica non porrebbe un rifiuto aprioristico, ma farebbe una riflessione seria.

A questo punto la Legge di bilancio avrà un iter parlamentare più agevole rispetto a quello degli ultimi anni?

Potrebbe in effetti andare diversamente dal passato, ma non mi faccio grandi illusioni sul fatto che sarà rapida e senza maxi-emendamento. Credo che ci sarà come sempre una trattativa parallela e sotterranea per ottenere questo o quell’altro provvedimento. Certo, però, oggi Franco può rispondere più agevolmente no alle richieste e lo stesso Draghi può, come dimostra la convocazione del Cdm sulla riforma fiscale di ieri e la scelta di approvare il ddl delega senza la Lega, agire abbastanza a prescindere da tutta quella che è la diatriba politica. I politici farebbero bene a fiutare quest’aria diversa che c’è nel Paese, compresa la disaffezione degli elettori, e a prendere le decisioni di conseguenza.

Sui singoli provvedimenti il Pd riuscirà ad avere più voce in capitolo nella maggioranza?

Sì, innanzitutto perché si è modificato il rapporto di forza rispetto a M5s e questo consente al Pd un’agibilità di proposta maggiore. Pensando ai singoli provvedimenti, c’è da dire che forse sulle pensioni avremo il test più importante per la Lega, che, come dicevo prima, è chiamata a fare una scelta. Penso sia inimmaginabile riproporre Quota 100 o Quota 41 e che andrà trovata quindi un’altra soluzione per lo scalone che si creerà dal 1° gennaio.

(Lorenzo Torrisi)

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