C’è l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio, ma anche una prima stretta sulle intercettazioni e novità sulla concessione della custodia cautelare, che potrà essere concessa da un collegio giudicante e, in alcuni casi, interrogando in precedenza la persona destinataria del provvedimento. Nel ddl Giustizia stilato dal Governo sono cambiate anche le norme sull’avviso di garanzia, nel quale deve essere specificato il fatto contestato, e sulle assoluzioni in primo grado, che non possono essere appellate.



Lo spiega Frank Cimini, storico cronista di giudiziaria, già al Manifesto, Mattino, Apcom, Tmnews e attualmente autore del blog giustiziami.it. Norme che introducono consistenti novità rispetto al passato e che riaprono il dibattito sul futuro della giustizia.

Giusto eliminare il reato di abuso d’ufficio?

Si tratta di un reato per il quale la maggior parte degli indagati vengono prosciolti. È un po’ una perdita di tempo. Il problema è che viene utilizzato da chi indaga per arrivare a reati più gravi come la corruzione. Quindi è una questione di scelta politica oltre che giuridica. Si può consentire l’uso di un’imputazione che nel 90 per cento delle volte porta a un’assoluzione solo perché può aprire la strada a contestare reati più gravi? Questa è la domanda a cui bisogna rispondere.



Anche sulle intercettazioni si vuole arrivare a una stretta, inizialmente per tutelare terze persone estranee alle indagini. Qual è il problema e come bisogna intervenire?

È più un problema dei gip che dei pm: concedono troppe proroghe. È vero che si può farlo solo su disposizione dell’autorità giudiziaria, mentre in altri Paesi possono procedere la polizia e i servizi segreti, ma in Italia si intercetta troppo. Poi c’è il problema della pubblicazione delle intercettazioni, che riguarda gli stessi indagati: sono riportate nelle ordinanze di custodia cautelare, diventano pubbliche. Se una persona viene assolta, tuttavia, a volte restano frasi intercettate che non c’entrano niente con le indagini ma fanno colore: questi sono danni che non si possono riparare. Le intercettazioni sono una scorciatoia: da decenni non ci sono più le indagini base come venivano fatte una volta. Capisco che siano utili, ma le indagini ora si basano solo su quello che viene intercettato.



Cambiano anche le norme per la custodia cautelare: viene decisa da un collegio, almeno per i casi più gravi, ed è previsto, anche se non per i reati peggiori, l’interrogatorio della persona oggetto della custodia cautelare in carcere. Giusto così?

Anche della custodia cautelare si fa un uso eccessivo e viene usata per ottenere confessioni. Succede non solo in Italia, basta vedere l’indagine sul Qatargate in Belgio. Lì è anche peggio. Diventa un modo per ottenere le prove che non si hanno. E questo riguarda tutti i tipi di inchiesta. L’interrogatorio prima dell’ordine di custodia potrebbe essere un modo per limitare la custodia cautelare stessa, però non risolve. Alla fine, è un problema di mentalità, di cultura politica e giuridica, un problema dei magistrati, dei gip che troppo spesso fanno copia e incolla con le richieste della Procura. Qui torna il problema della separazione delle carriere, ma non si è riusciti a farla finora e credo che non si riuscirà neanche in futuro.

Ma se devo arrestare un mafioso devo anche sentirlo prima dell’ordine di custodia?

Questo è un problema. Ma nella riforma l’interrogatorio non è previsto se si tratta di reati di grave allarme sociale. Anche qui, non è questa la soluzione, è sempre un problema di mentalità, di approccio da parte di chi fa le indagini e di chi giudica.

Il ddl prevede anche che se una persona viene assolta in primo grado la Procura non possa fare appello. Come cambierebbero i processi?

La Corte costituzionale ha bocciato la legge Pecorella. Personalmente sono d’accordo, però poi bisogna vedere come si fa la norma: la Corte aveva detto di no perché violerebbe la parità delle parti. Se con i mezzi che ha a disposizione il magistrato si costruisce un processo e l’imputato viene assolto, tutto dovrebbe finire lì. Anche perché imputato e accusa non sono pari come mezzi a disposizione. Al magistrato che ricorre, l’appello non costa niente, all’imputato sì.

Con queste norme sarà più difficile fare indagini?

Le indagini si possono sempre fare rispettando le regole e le persone. Il contesto di fondo è che in questo Paese si ricorre troppo allo strumento del processo penale per risolvere certe questioni. C’è una tendenza sia ad aumentare le pene, che non serve a niente, sia a trasportare le questioni sul processo penale.

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