Sono una pacifista convinta e disapprovo la violenza, in tutte le sue forme; alla legge del più forte, del più prepotente, mi piace contrapporre l’argomentazione della ragione, la consapevolezza dei valori in gioco, l’ascolto attento dell’altro soprattutto se e quando appare più fragile e meno capace di valersi per sé stesso. Tanti, tantissimi anni fa, scelsi di specializzarmi in neuropsichiatria infantile proprio per schierami dalla parte dei bambini che sembravano avere più difficoltà. Ma la Legge Zan non ha molto a che vedere con la lotta alla violenza e alla discriminazione.



L’aula della Camera – con 265 sì, 193 no e un astenuto – ha approvato il testo unificato delle proposte di legge di contrasto alla violenza e la discriminazione per motivi legati alla trans-omo-fobia, alla misoginia e alla disabilità. Su Avvenire Francesco Ognibene non si limita ad affermare in modo inequivocabile che la legge Zan è superflua, ma mette in evidenza almeno otto ragioni per dimostrare fino a che punto sia rischiosa.



La prima di queste ragioni ha a che vedere con l’istituzione della giornata “contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, che entra di fatto nei percorsi scolastici a cominciare dalle elementari. Ora, cosa abbia a che vedere questo indottrinamento rivolto a bambini che non conoscono neppure il significato delle parole usate, ma soprattutto ignorano quale sia la posta in gioco. Quella identità sessuale a cui si accompagna un orientamento che nella loro esperienza di ogni giorno, nella percezione che hanno della realtà, è fatto di uomini e donne, maschi e femmine. Ovviamente scopriranno con il tempo, a cominciare dalla loro adolescenza, che la vita è più complessa e più articolata e non tutti rientrano in quella iniziale distinzione. Ma hanno bisogno di tempo, debbono prima potersi familiarizzare e scoprire le prerogative naturale del loro essere maschi e femmine, per poi scoprire che ci sono situazioni diverse. Non sono ancora in grado di misurarsi con la cultura del dubbio; con quella domanda insidiosa che riguarda il “chi sono io” e che genera quella strana sensazione di gender fluid, alla base di tanto disagio e di tanta insicurezza successiva.



Se, per evitare la discriminazione, si intendesse insistere sulla possibilità delle diverse forme in cui è possibile vivere la propria sessualità, si finirebbe col trasmettere ai bambini i primi dubbi sulla propria sessualità e si potrebbe incorrere in quel colonialismo ideologico di cui ha tanto parlato anche Papa Francesco, criticando la Gender Theory. Ma per comprendere il senso del disegno di legge nella mente dei suoi ideatori occorre porre l’accento sulla presunzione di chi pretende di riscrivere cosa sia la natura umana, le sue leggi, il suo dinamismo, che presidia i processi della generazione. Se sul piano culturale il rapporto tra sessualità e generatività si è interrotto da tempo, sul piano biologico conserva una forza che nessuno può ribaltare. I bambini nascono ancora oggi perché ci sono un padre e una madre che li mettono al mondo, comunque si dia il concepimento. In un gesto d’amore e di accoglienza reciproca o in un laboratorio rigorosamente sterile. Ai bambini, agli adolescenti, agli adulti, questo dato va sottolineato senza eccezioni di sorta. Nessuna tecnologia è riuscita finora a ribaltare questa base su cui si regge la trasmissione della vita, da una persona all’altra. La biologia non è un sottoprodotto della speculazione ideologica maturata in determinati ambienti fortemente autoreferenziali. Non è oggetto della libertà di opinione, è un fatto concreto e come tale va acquisito per farne il punto di partenza di ogni altra speculazione.

È chiaro che la trasmissione della vita non resta circoscritta negli stretti confini biologici, ma chiama affetti e sentimenti, valori ed impegni. Ma solo in una sintesi armoniosa degli uni e degli altri la vita nasce e si sviluppa fino alla pienezza della maturità. Quel che si vuole sottolineare è che ai bambini, agli adolescenti a tutti noi le leggi della natura vanno trasmesse con quella onestà intellettuale che le sottrae ad un’interpretazione e la biologia è da sempre nei programmi della scuola, dalle elementari alla Sms l’ambito specifico per avvicinarsi al mistero della vita e provare a comprenderlo un po’ di più e un po’ meglio.

Ma la legge Zan espone le persone che non ne condividono l’impianto ad ulteriori rischi sul piano del reato d’opinione. Chi stabilisce dove e come si può esercitare un dissenso rispetto a questa legge dello Stato; fino a che punto criticare la legge, uno degli sport più amati dagli italiani: la libertà di opinione, il diritto al dissenso, non assumerà i contorni di un reato, perseguibile a norma di legge? Tutti sappiamo i contesti in cui questo diverso modo di pensare può rivelarsi: in famiglia, nella formazione di un figlio, a scuola se i genitori scelgono per lui una scuola paritaria di impostazione cattolica, nella predicazione di un sacerdote, a catechismo, dal momento che, come ha recentemente ribadito la Segreteria di Stato Vaticana, la dottrina cattolica su questi punti non è affatto cambiata.

Ma quel che è ancora più singolare è cosa dirà il professore di scienze, quello di anatomia, di fisiologia e perfino quello di psicologia, quando tenderà ad evidenziare le specificità di ognuno sulla base di una appartenenza ad un sesso o ad un altro.

C’è poi tutta la complessità dei cambiamenti di sesso, di genere, di orientamento e la loro codifica sui documenti: dalla carta di identità alla cartella clinica, alle mille richieste con cui sul web ti si chiede ancora di indicare se maschio o femmina, mettendo una crocetta qui o lì… Se la fluidità di genere permette di cambiare l’uno o l’altro, o di vivere l’uno e l’altro dei generi, non sarà affatto facile, neppure difendere le famose quote rosa, o l’alternanza nella scheda elettorale. E la medicina di genere, sempre più attenta a cogliere le prerogative dell’uno e dell’altro per meglio disporre i suoi piani terapeutici o aggiornare i criteri diagnostici, faticherà ad orientarsi e forse incorrerà, involontariamente, in una serie di errori lessicali che potrebbero esserle imputati come mancanza di rispetto della legge Zan.

E per finire, se resta fermo il nostro no alla violenza in tutte le sue forme, quindi anche nei confronti delle persone dalla diversa identità di genere, francamente non riesco a capire come si sia potuto inserire in uno stesso contesto con i trans le persone con disabilità! La radicale diversità delle loro condizioni è talmente forte che sembra quasi che li si sia inseriti proprio in questa legge per suscitare una risposta di solidarietà e di tenerezza da parte di tutti! Chi può legittimare la violenza contro un disabile che non è in grado di difendersi e di reagire?

È chiaro che il nostro no alla violenza nei confronti delle persone con disabilità ha un carattere cogente, dettato proprio dalla loro innegabile fragilità, ma non posso nascondere che recentemente ho incontrato persone analoghe a quelle elencate dalla legge che si trovano in situazioni e condizioni di forza e privilegio che sfuggono a molti altri. In certi casi sembra quasi un punto di forza: una volta fatto outing tutta la stampa si schiera con loro; le porte di Tv e spettacolo si spalancano per molti di loro; la capacità di creare reti e sostenersi reciprocamente, tra di loro, è un segnale forte di amicizia che sfida ostacoli vecchi, che oggi per lo più sono scomparsi. Anche tra loro c’è chi soffre violenza, ma questo accade in ambienti che sono di per sé emarginanti; pronti a fare violenza non solo a loro ma a chiunque appaia loro più debole, come molti episodi recenti hanno mostrato. Questa legge aiuterà molti di loro a recuperare sicurezza e determinazione, speriamo solo che non diventi un boomerang per gli altri…

Ed è proprio a questo potenziale modo di interpretare la legge che va oltre il desiderio di combattere i pregiudizi che penalizzano persone omosessuali e transessuali sottoposte a ingiuste discriminazioni, che il Senato dovrà offrire risposte nuove, con argomentazioni solide che sappiano difendere ogni persona che versa in una condizione di disagio, senza per questo pretendere di ridefinire la natura umana, che conserva i suoi ritmi e le sue leggi e chiede solo di essere accolta e coltivata nel miglior modo possibile.