Il nuovo disegno di legge sugli affitti brevi è stato detto sia frutto di una condivisione avvenuta con gli operatori del settore. Ora, i casi sono tre: o il ministero non ha condiviso nulla e ha millantato consensi inesistenti, o gli operatori che hanno condiviso quegli incontri erano distratti e successivamente si sono ravveduti, o quegli stessi operatori agivano per conto proprio, in rappresentanza di nessuno.
Ricapitoliamo. Il ministero del Turismo ha elaborato un ddl che vuole dare “una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”. Il decreto prevede un codice identificativo nazionale, che superi la frammentazione della normativa regionale e i relativi codici regionali esistenti: chi non lo adotterà (Ota, host e property manager, ovvero le figure imprenditoriali soggette a uno specifico codice Ateco e alla raccolta e al versamento per conto dei proprietari della cedolare secca) sarà soggetto alle sanzioni erogate dai Comuni e dalle autorità di Ps. Il “ddl Santanchè” limita anche le locazioni per finalità turistiche con soggiorno minimo di due notti almeno per i comuni ad alta densità turistica (circa mille).
Gli obiettivi del ddl sono chiari e assolutamente condivisibili, visto lo spopolamento dei residenti nelle città maggiormente vocate al turismo, la carenza di alloggi per lavoratori e studenti (le città d’arte sono molto spesso anche sedi di poli accademici), la spietata e sperequata concorrenza con le strutture alberghiere. I risultati che il decreto sembrerebbe destinato a incassare, però, sono già da subito contestati, e non da movimenti terzi, ma dagli stessi operatori di settore (da qui i tre casi che si dicevano sopra).
Fronte gestori degli affitti brevi, rappresentati da Aigab. In Italia il settore vale circa 10 miliardi, “a fronte di un patrimonio di 6,3 milioni di seconde case inutilizzate, circa 700 mila immobili presenti nel circuito del vacation rental, di cui 200 mila gestiti da aziende come Italianway, CleanBnB, Altido, Wonderful Italy e Sweetguest”, che sono i player che nell’ottobre 2020 hanno dato vita all’Associazione italiana gestori affitti brevi. “Io credo che debbano essere lasciati liberi – ha detto Marco Celani, ad di Italiaway e presidente Aigab – sia cittadini che vogliono andare in casa o in appartamento, sia i proprietari di gestire come quando affrontare i loro pernotti. Penso che lo spopolamento dei centri storici non derivi dal successo degli affitti brevi, anzi ne sia una conseguenza. Anche oggi le piattaforme hanno l’obbligo di esporre il codice identificativo che è al momento regionale, ma in carenza di controlli e di blocchi automatici è impossibile per i portali inserire blocchi senza aver concordato con le Regioni la struttura dei codici. In altre parole, l’operatore illegale può inventarsi un codice, inserirlo nel portale che non ha oggi modo di controllare e nessuno ha modo di controllare”. Dovrà essere il ministero a inserire i Cin ricevuti dalle Regioni nella banca dati nazionale (nata nel 2019), ma il tutto dovrà sottostare alle modalità concordate con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Si prevedono intoppi e polemiche, come quelle già scaturite per le due notti minime, una norma giudicata da molte associazioni “discriminatoria, liberticida e con profili di dubbia costituzionalità, che alimenterà forme di evasione fiscale e di illegalità”.
Fronte albergatori. Delusione e contrarietà sono arrivate praticamente da tutte le associazioni di rappresentanza. Ad esempio, da Federalberghi (che associa 27 mila delle 33 mila strutture italiane), forte del recente studio di Sociometrica, che ha stabilito che gli hotel creano un giro d’affari che supera i 50 miliardi di euro, mentre le abitazioni private si fermano a quota 6. “Apprezziamo la decisione di aprire ufficialmente il dibattito sulle locazioni turistiche, con la presentazione di un disegno di legge, e siamo pronti ad offrire il nostro contributo al Governo e al Parlamento per la costruzione di un sistema equo e trasparente – dice Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi -. Ma non possiamo nascondere la nostra delusione per il contenuto della proposta e riteniamo che ci sia molto da lavorare, se si vuole veramente giungere a una soluzione capace di incidere concretamente sul problema della concorrenza sleale e dell’abusivismo che inquinano il mercato. Occorre anzitutto intervenire sul minimum stay. Considerato che la permanenza media negli esercizi ricettivi italiani è di 3,3 notti, affermare che il soggiorno nelle locazioni turistiche non può essere inferiore a due notti suona come una presa in giro, in quanto significa che la nuova normativa si applicherà solo su a una minima parte dei flussi turistici. Ad esempio, saranno esclusi tutti i soggiorni per vacanza, a partire dai week end, per di più solo in una minoranza di comuni. Altrettanto importante è il ruolo da conferire ai sindaci, ai quali dev’essere restituita la facoltà di governare il territorio. Grandi e piccoli centri sono invasi da una marea di alloggi, che si nascondono dietro la foglia di fico del contratto di locazione e operano sul mercato alberghiero senza rispettarne le norme. Se si vuole che la norma produca effetti occorre poi prevedere un efficace sistema di controlli e di sanzioni, che di certo non si realizza immaginando che le multinazionali del web si lascino spaventare da una multa da tremila euro”
I sindacati degli inquilini. Il ddl sta mobilitando anche i sindacati degli inquilini. Per Sunia, Sicet e Uniat Aps sarebbe “un compitino commissionato da proprietari di alloggi e associazioni alberghiere”, visto che “residenzialità, overtourism, crisi degli alloggi, negazione del diritto allo studio, espulsione dei residenti dalle città metropolitane e d’arte, non solo non vengono toccati, ma addirittura vengono ribadite le scelte normative che hanno portato a queste condizioni”. Nel mirino la prevista possibilità di non registrare all’Agenzia delle Entrate i contratti inferiori a trenta giorni e di non considerare attività commerciale quella svolta fino a 4 alloggi di proprietà locate a finalità turistica, oltre alla concessione di agevolazioni fiscali come la cedolare secca a questi proprietari. Secondo i sindacati, è anche assente uno strumento per i Comuni di governare davvero il fenomeno dell’overtourism “in controtendenza rispetto a quanto si sta adottando nelle maggiori città europee”. La limitazione ad almeno due notti per la durata minima del contratto di locazione per finalità turistiche nelle città metropolitane “non ha alcun effetto nel contrasto alla gentrificazione, ma, riteniamo, neanche per incentivare l’attività alberghiera, visto che la pena per tale infrazione è la nullità del contratto, che non sappiamo come e quando possa essere accertata”.
La fuga in avanti. Mentre si discute sulla proposta del ddl, c’è chi tenta un intervento rapido. È il Sindaco di Firenze, Dario Nardella, che ha annunciato la sua sfida: il Comune approverà una delibera per limitare in tutta l’area del centro storico l’uso di abitazioni per affitti turistici brevi. Una misura drastica, contro la “bolla immobiliare”, uno stop deciso con l’adozione “in tutta l’area Unesco della città del divieto ad attivare nuove destinazioni d’uso residenziale per affitti turistici brevi”, con in più l’abbinata di “una leva fiscale per coloro che vorranno collaborare e tornare indietro”: azzeramento per tre anni dell’Imu sulla seconda casa a chi deciderà di togliere la propria abitazione dalle piattaforme per gli affitti brevi, rimettendola nel mercato degli affitti a lungo termine. Misure decise, che però dovranno fare i conti con le normative generali vigenti e i prevedibili ricorsi di chi sarà soggetto all’imposizione.
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