Il dibattito sull’eutanasia torna in Commissione

Nonostante l’incalzare senza sosta dei fautori di una nuova legge sul suicidio assistito, ampiamente sconfinante con una vera e propria forma di eutanasia, la prudenza parlamentare evita il confronto in Aula e riporta la legge in Commissione. Non sarà quindi oggi il giorno atteso da molti sostenitori del principio per cui alla libertà individuale è concesso tutto, anche suicidarsi, ma sarà il nuovo inizio di un processo di riflessione e di rielaborazione di quanto emerso dopo l’ultimo intervento della Corte costituzionale. La Corte infatti ha ribadito quali sono i requisiti per l’accesso al suicidio assistito e ne ha chiarito senso e significato. In questo modo ha ricondotto il campo di applicazione della sentenza n. 242/2019 nei suoi confini originari.



Negli ultimi anni, con la pressione di alcune Associazioni, strutturalmente favorevoli all’eutanasia come principio inderogabile di libertà individuale, questo vincolo era andato diluendosi fino a chiederne la cancellazione. Ferma restando la volontà del paziente, si voleva prescindere totalmente dalla sua dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. La Corte, il 18 luglio 2024, ha invece sottolineato come vada correttamente interpretata questa affermazione perentoria, al di fuori della quale resta valida la condanna del suicidio assistito in base all’articolo 580 del Cp.



L’intervento della Corte e il fatto scatenante

Il quesito era stato posto alla Corte sulla base di un procedimento penale contro tre persone che avevano aiutato un paziente affetto da sclerosi multipla di grado avanzato, in stato di quasi totale immobilità, ad accedere al suicidio assistito. Il Gip aveva rilevato che il paziente si trovava in una condizione di acuta sofferenza, determinata da una patologia irreversibile e aveva formato la propria decisione in modo libero e consapevole, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Pertanto, ha ritenuto che non sussistessero tutte le condizioni di non punibilità del suicidio assistito fissate dalla Corte nella sentenza n. 242/2019. La Corte costituzionale, interpellata in tal senso, il 18 luglio 2024, ha escluso che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale determini disparità di trattamento tra i pazienti. Ma soprattutto ha sollevato una questione fondamentale: la sentenza n. 242/2019 non ha riconosciuto un generale diritto a por fine alla propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile determinata da una patologia irreversibile, ma ha soltanto ribadito quanto riconosciuto dalla legge n. 219/2017: poter rifiutare il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza. In definitiva l’accesso al suicidio assistito è precluso ai pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non possono lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure.



Il diritto a una generale sfera di autonomia nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo va ben oltre il diritto di rifiutare il trattamento medico e va quindi bilanciato con il dovere di tutela della vita umana, specie delle persone più deboli e vulnerabili. Proprio per evitare non soltanto ogni possibile abuso, ma anche il rischio di una “pressione sociale indiretta” che possa indurre le persone a voler morire, quando pensano che la propria vita è diventata un peso per i propri familiari. Individuare il punto di equilibrio più appropriato tra il diritto all’autodeterminazione e il dovere di tutela della vita umana spetta al legislatore, nell’ambito delle indicazioni contenute dalla sentenza della Corte.

Nella sentenza si legge anche come ogni vita abbia un’inalienabile dignità, a prescindere dalle condizioni in cui si svolge, una dignità che va tutelata garantendo a tutti i pazienti un’effettiva possibilità di accesso alle cure palliative necessarie per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010 (paragrafo 10).

In conclusione

Il ritorno dei diversi ddl sul suicidio assistito in Commissione dovrà tener conto dell’ultimo parere della Corte costituzionale (18 luglio 2024), cercando una concreta armonizzazione tra la legge 38/2010 e la legge 219/2017, per evitare ogni possibile deriva in senso eutanasico, garantendo le indispensabili cure palliative con l’intensità e la tempestività necessaria a tutti coloro che ne hanno bisogno. E su questo punto dovrà intervenire la Legge di bilancio perché non ci siano discriminazioni e a tutti, ma proprio a tutti, siano garantite le cure necessarie, con un esplicito riferimento all’art. 32 della Carta costituzionale, questa volta al paragrafo 1.

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