Noi voteremo no.
Noi voteremo contro la legge sul suicidio assistito.
Noi siamo contro ogni forma di accanimento terapeutico, ma siamo anche contro l’idea che idratazione e alimentazione siano “terapie”.
Siamo coscienti, da parlamentari, che una legge sulle questioni eticamente sensibili non è mai solo la risposta a una casistica precisa, ma promuove una cultura e apre una prospettiva.
Per questo, per esempio, riteniamo che una legge debba fare il possibile per alleviare le sofferenze di chi è malato, ma rifiutiamo l’equiparazione tra inguaribile e incurabile. Anche chi non ha speranze di guarigione può e deve essere curato, come ci testimoniano i tanti medici impegnati nelle cure palliative, che sono un percorso che prende in carico la persona malata e i suoi familiari anche dal punto di vista psicologico. Anche in caso di malattia grave, nessuno deve essere lasciato indietro. Nessuno deve essere lasciato solo.
Noi voteremo no perché questa legge introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il “favor mortis” invece del “favor vitae”, che è lo spirito che anima la Costituzione e i trattati internazionali, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dai Trattati dell’Unione Europea.
E anche se voteremo no abbiamo proposto emendamenti migliorativi del testo. Alcuni di questi sono stati approvati.
Ora il testo non parla di “patologia irreversibile o a prognosi infausta” ma di “patologia irreversibile e a prognosi infausta”; invece di “intollerabili sofferenze psichiche o psicologiche” dice “intollerabili sofferenze psichiche e psicologiche”. Sembra solo la sostituzione di una congiunzione, ma cambia molto.
Ora è prevista l’obiezione di coscienza per medici e operatori sanitari.
Però, pur con queste modifiche, l’impianto generale della legge rimane profondamente eutanasico, i requisiti per chiedere di essere aiutati a morire sono troppo ampi: in pratica riguardano tutti i casi di malattie croniche o di disabilità senza rischio di vita immediato o a medio termine.
Si parla nella legge di “condizione clinica irreversibile”, ma questa è anche la situazione di un diabetico.
“L’essere tenuti in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale” non è condizione che possa bastare per chiedere di essere uccisi, molte terapie per malattie croniche senza prognosi infausta a breve o a medio termine richiedono trattamenti sanitari senza i quali la persona potrebbe morire.
Non è stata accolta neanche la proposta che ci sia lo psichiatra tra i medici che possono essere chiamati a valutare la richiesta di morte, per valutare a fondo lo stato psicologico della persona malata.
Con questa nostra scelta non vogliamo dimenticare il dramma e la sofferenza umana che c’è dietro ogni singola persona che si può trovare in questa condizione. Ma essere partecipi della sofferenza di una persona non ci assolve dal dovere, da legislatori, di valutare il testo nel merito e nelle sue conseguenze a medio e lungo termine.
Chi spinge per questa legge dimentica che quella sul biotestamento consente già di dare disposizioni preventive per impedire di essere rianimato in caso di incidenti gravi o di gravi malattie; permette in qualsiasi momento alla persona malata di revocare il suo consenso alle cure e ai trattamenti sanitari vitali e chiedere di accedere alla sedazione profonda; e affida a medico e paziente insieme il valutare, situazione per situazione, quale sia la soluzione migliore possibile.
C’è una differenza tra aiutare a convivere con la sofferenza ed eliminare il sofferente. Veramente vogliamo che si affermi una concezione in base alla quale è preferibile eliminare il sofferente invece di mettere in atto ogni tentativo reso possibile dalla scienza e dalla coscienza dei medici per lenire la sofferenza?
Nella cultura occidentale c’è il diritto alla vita, il diritto alla dignità di essa non il diritto alla morte.
L’attenzione ai malati, ai deboli, agli anziani – principi sui quali si basa la nostra società e il nostro sistema di welfare e di cura – può essere sostituita dalla prospettiva che un domani vecchiaia, debolezza e infermità siano visti come un peso di cui disfarsi?
In Olanda, primo Paese europeo a introdurre nel 2001 la legge per l’eutanasia, ormai il 4,5% dei decessi avviene per eutanasia, dal 2020 è possibile dare la morte anche ai bambini sotto i 12 anni se malati terminali. In Belgio l’eutanasia ai bambini è praticata dal 2016. In Canada, dal 2023 sarà possibile anche per chi soffre solo di malattie mentali. In Belgio e Olanda sono in aumento i casi di eutanasia per polipatologia, quando di irreversibile non c’è una malattia incurabile ma solo i disturbi legati alla vecchiaia.
Siamo coscienti che quando si affrontano in Parlamento questioni legate alla vita, alla dignità della persona, esse non possono essere affrontate come uno scontro tra tifoserie, ma innanzitutto con un doveroso ascolto delle ragioni dell’altro e del grido a volte di disperazione di chi vive in determinate condizioni. È infatti con questo spirito che abbiamo lavorato in Parlamento, ma per questo vogliamo istituzioni politiche e sanitarie capaci di prendersi cura fino all’ultimo di chi non può guarire, dei più fragili e dei più deboli, di aiutare i loro familiari anche con sussidi economici ad affrontare con dignità questa condizione.
Né accanimento, né abbandono. La vera libertà è la libertà dal dolore e dalla solitudine, non dalla vita.
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