Come vi avevamo già spiegato ieri in questo focus, alla Camera il ddl Zan sull’omofobia aveva respinto le pregiudiziali di costituzionalità e il percorso corre spedito verso le limature del testo scritto dai deputati Pd Zan e Boldrini assieme ai renziani Scalfarotto e Annibali: Fausto Carioti di Libero si sofferma però oggi, tra i pochissimi sul panorama mediatico nazionale, su alcune “definizioni” inserite nel testo base della legge contro l’omotransfobia. In particolare, sono state “ridefinite” le parole “sesso” e “genere sessuale” per determinare cosa potrà valere d’ora in avanti come discriminazione: «Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico», mentre per genere «Qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso». Ma c’è ben di più, la deputata Lucia Annibali (Italia Viva) ha riscritto – su richiesta esplicita della Commissione Affari Costituzionali per evitare incertezze in sede applicativa – anche il concetto di “identità di genere”: «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Traducendo in parole povere, un uomo ha diritto ad essere trattato come donna se «si identifica come tale».



CENTRO STUDI LIVATINO: “DDL ZAN UN OBROBRIO”

Attenzione però alle definizioni stesse, come sottolinea provocatoriamente Carioti (citando i dati effettivi inseriti nel Ddl Zan): «chi sgarra discrimina e chi discrimina può essere intercettato dalle procure e finire in carcere: sino a tre anni, se si limita a diffondere certe idee; sino a quattro, se il comportamento è ritenuto un incitamento alla violenza; sino a sei, qualora il colpevole sia giudicato promotore di un gruppo dedito alla discriminazione del prossimo». Secondo il giudice di Cassazione Alfredo Mantovano, tra i principali giuristi del Centro Studi Livatino, l’emergere dei dettagli sul Ddl Zan conferma l’ipotesi iniziale: «siamo dinanzi a un obbrobrio legislativo». Secondo il giurista ed ex politico, meritano di entrare nella storia del diritto «i deputati che hanno proposto e votato una norma nella quale l’ applicazione di sanzioni penali fino a sei anni di reclusione, con la possibile attivazione durante le indagini di intercettazioni e misure cautelari, dipende dall’interpretazione che pm e giudici daranno a espressioni come “aspettative sociali connesse al sesso” o “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere”». Il buon senso dei giudici evidentemente potrà normare i casi più “spinosi”, ma resta il senso ancora inespresso di una nuova legge che rischia di provocare fortissime confusioni sull’applicazione, oltre che ripercussioni etico-sociali di non indifferente portata: «Può essere indagato e condannato chi tratta come un uomo, ad esempio vietandogli lo spogliatoio o il bagno delle ragazze, un individuo di sesso maschile che sostiene di avere una “identità di genere” femminile?», si chiede con un forte pizzico di sarcasmo il collega di Libero.

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