La discussione sul cosiddetto ddl Zan anti-omofobia, oltre che ad agitare i venti della politica, sta sollevando osservazioni critiche in una vasta area sorprendentemente trasversale della società. Cattolici, laici, femministe, radicali, storici rappresentanti dell’estrema sinistra, si ritrovano a esprimere gli stessi dubbi dal punto di vista giuridico, filosofico, etico, sociale.



È interessante rilevare che intorno a questa questione, che presenta rilevanti aspetti di carattere antropologico ed etico, stanno rifiorendo quei corpi intermedi di cui il presidente del Censis Giuseppe De Rita aveva lamentato da tempo una sorta di eclissi. 

Ieri, infatti, nell’aula Nassirya del Senato, 70 associazioni no-profit hanno dato vita a un seminario sul ddl Zan, coordinato dall’instancabile avvocato Domenico Menorello. Lo hanno fatto invitando a parlare esponenti delle diverse aree riformista, femminista, liberale, cattolica, che si sono trovati a dare i medesimi giudizi di illiberalità su molti passaggi attualmente contenuti nella proposta di legge. 



Già il titolo dell’incontro diceva molto: Lotta alle discriminazioni. Sì. Ma non così. Tutti i relatori si sono trovati d’accordo nell’affermare che la lotta alle discriminazioni è di primaria importanza, ma che non può essere il cavallo di Troia per inserire disposizioni che ufficializzano per via legislativa la teoria dell’indifferenza sessuale, e che viene imposta con norme penali gravemente indeterminate, con l’effetto di violare la libertà di pensiero e di aprire una triste stagione di delazioni e di controllo del pensiero da parte delle procure. 

Altra questione ritenuta inaccettabile è la coartazione del ruolo dei genitori e delle scuole paritarie, di fronte all’obbligo che si vorrebbe imporre di propagandare il gender negli istituti scolastici di ogni ordine e grado. 

Marina Terragni e Alberto Gambino hanno messo in evidenza che ciò che sorregge il ddl Zan “non la lotta all’omofobia, ma l’imposizione di una cultura, centrata su un individuo neutro, capace di arbitrio assoluto fino a decidere il proprio sesso”. “Ma nessuna cultura – hanno chiosato – può essere imposta per legge”. 

Luca Ricolfi è arrivato a porsi una domanda di fondo: “Ha senso cercare di combattere la violenza e la discriminazione identificando delle categorie protette? Ciò produce delle nuove discriminazioni. A forza di moltiplicare le minoranze protette si creano nuove discriminazioni, perché la lista delle minoranze è arbitraria e potenzialmente illimitata. Noi così facendo proteggiamo la categoria e non la persona. E diamo vita a una competizione vittimaria”.

Per questo Ricolfi e Terragni hanno auspicato almeno il ritorno allo schema del ddl Scalfarotto, ripresentato anche in questa legislatura e sottoscritto anche dall’on. Zan. “E non si capisce – ha aggiunto Terragni – come sia possibile che chi valorizza la originaria proposta Scalfarotto si senta dare dell’omofobo!” 

Dopo la drammatica testimonianza da Washington del prof. Ryan T. Anderson che ha elencato una serie di effetti paradossali derivanti dalla libera autocertificazione del sesso, il costituzionalista Filippo Vari ha dettagliato ineludibili contrasti, specie degli artt. 1, 2, 4 e 7, con la Costituzione e in particolare con gli artt. 21, 25, 9, 33, 30 e 7 della carta fondante la Repubblica. 

C’è da chiedersi – visto il negativo coro unanime di costituzionalisti di tutte le aree politico-culturali – come potrebbe un giorno, se mai passasse, il Presidente della Repubblica approvare un simile testo, che il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick ritiene “debba essere sottolineato con la matita rossa e blu per i suoi insulti alla Costituzione”. Analogo giudizio aveva dato il giorno prima su Il Giornale l’accademico dei Lincei Tullio Padovani: “Parola di radicale: io sono inorridito dal testo sull’omofobia”. 

Il seminario si è concluso con un appello delle 70 associazioni: “Il Senato è chiamato a non voltarsi dall’altra parte, ad ascoltare l’univocità delle tante voci che salgono dalla società e dalla cultura, giuridica e non, del Paese. È chiamato a salvare davvero la laicità dello Stato da un’invasione etico-antropologica che il ddl Zan vorrebbe introdurre con l’imposizione di una legge ideologica, che non ha nessi con la lotta all’omofobia. Per questo abbiamo inviato a tutti i senatori una lettera con sette punti sui quali chiediamo a ogni membro della Camera alta di rappresentare per davvero la nazione, come chiede l’art. 67 della Costituzione. Per questo chiediamo un incontro urgente con i capigruppo del Senato della Repubblica”. 

Chi vivrà vedrà. Ma intanto scalda il cuore trovare una così determinata e trasversale preoccupazione per gli effetti liberticidi e incostituzionali di un decreto scritto più con l’ideologia che con la responsabilità del legislatore.

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