In origine erano solo alcuni gruppi della galassia LGBT (come l’Arcilesbica) e alcune sparute “femministe”, ora il fronte dubbioso sul Ddl Zan all’interno della sinistra è ben più ampio: il disegno di legge proposto dal piddino Alessandro Zan, che intende contrastare i fenomeni di omobitranfobia, attende ancora una convocazione completa al Senato, è ancora frutto di scontro e dibattito tanto nel Governo (con Lega e Forza Italia che assieme a FdI hanno presentato un testo alternativo e correttivo) quanto nello stesso Centrosinistra.



In particolare, è sul tema dell’identità di genere che si scontrano le diverse posizioni anche all’interno del Partito Democratico e di Italia Viva, i partiti più “spaccati” sulla proposta Zan: per “identità di genere”, spiega l’articolo del ddl, «si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Secondo la dem Valeria Valente, in netto contrasto alla linea del partito del segretario Letta, in un’intervista all’Avvenire lo scorso aprile spiegava come l’espressione “identità di genere” contenuta nell’elenco delle discriminazioni del Ddl Zan, «rischia di creare da una parte problemi di applicazione della norma. Inoltre, rischia di creare conflitti nello stesso campo progressista, ad esempio con parte del mondo femminista che con buone ragioni vede il rischio di confusioni e passi indietro rispetto a conquiste fatte».



DDL ZAN, LO SCONTRO NELLA SINISTRA

Valente – e con lei anche l’altra dem Valeria Fedeli e Andrea Marcucci – chiede lo stralcio nel Ddl Zan dell’espressione “identità di genere”: «Può portare nel tempo a negare qualsiasi rilevanza del sesso biologico». L’asse contraria inizia però ad essere numerosa e vede implicati anche i senatori di Italia Viva Davide Faraone, in rotta di collisione in questo caso con i renziani alla Camera Ivan Scalfarotto e Lisa Noja che invece appoggiano il disegno di legge contro l’omobitranfobia. Per Luciana Goisis, professoressa di Diritto penale dell’università di Sassari sentita da L’Espresso, lo stralcio della parte sull’identità di genere «escluderebbe dalla disciplina penale le vittime di transfobia. Posto che l’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione in relazione alle “condizioni personali e sociali”, nelle quali si fa tradizionalmente rientrare l’orientamento sessuale e l’identità di genere, laddove – nei delitti contro l’uguaglianza – non si contemplassero queste caratteristiche protette, si potrebbero rintracciare profili costituzionalmente sospetti». Come hanno invece fatto notare le associazioni cattoliche, i forum sulle famiglie e il quotidiano dei vescovi Cei “Avvenire”, con la norma inserita nell’articolo 1 si «cancellerebbe dunque il dualismo uomo-donna a vantaggio di un’autopercezione individuale per la quale non verrebbe neppure richiesta una forma di stabilità». Non solo, vi sarebbe a che il problema della “sovrapposizione terminologica” tra sesso e genere: «è il primo, secondo la nostra Costituzione, a essere parametro per l’assegnazione dei diritti, non il secondo».

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