Caro direttore,
sul piano diplomatico, il “caso ddl Zan” è chiuso. La Santa Sede ha confermato di non aver voluto interferire nella sovranità parlamentare italiana: lo ha detto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Papa Francesco e responsabile istituzionale della Nota verbale inoltrata – riservatamente – all’ambasciatore italiano. Il premier Mario Draghi non ha neppure atteso di essere interpellato dopo la fuga di notizie sul passo vaticano: si è presentato in Senato e ha ribadito che la Repubblica italiana è “laica e non confessionale”.



Una riaffermazione di principio, evidentemente al di là della singola normativa in cantiere contro l’omotransfobia. Su qualsiasi problematica d’interesse nazionale – è implicito nelle parole di Draghi – decidono da sempre in totale autonomia il Parlamento e il Governo della Repubblica, quest’ultimo responsabile davanti alle Camere. La democrazia costituzionale non prevede varchi per “speronamenti” di alcun genere dai confini esterni.



Il caso ddl Zan lascia certamente aperte numerose altre questioni di natura politico-mediatica. Altre domande rimangono in attesa di risposta o chiarimento: per esempio riguardo altre “interferenze” emerse in modo visibile. Di una prima – di profilo istituzionale – si è reso responsabile il leader del Pd Enrico Letta: che poco dopo il leak sul Corriere della Sera ha telefonato al ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ha cercato verosimilmente conferme e informazioni di contenuto sulla Nota verbale vaticana: che però era – e resta – un atto formale relativo ai rapporti fra lo Stato italiano e un altro Stato. Un atto protetto da precise regole di diritto interno e internazionale, di cui nessun privato cittadino può chiedere immediata e libera visione telefonando alla Farnesina. Infatti Di Maio si è ben guardato dal parlare della Nota verbale vaticana. Lo ha fatto il premier Draghi – senza peraltro rivelare nulla nel merito – nell’unica sede in cui poteva e doveva farlo: il Parlamento. Di cui Letta, in questo momento, non fa neppure parte.



L’attivismo del leader Pd ha celato d’altronde un’altra forzatura, di natura più squisitamente politica: la pretesa di essere il mediatore privilegiato, se non unico, obbligato, “predestinato” fra Parlamento italiano e Chiesa cattolica (o “cattolici italiani”) sul ddl Zan. Quando Draghi ha ribadito che sul ddl deciderà il Parlamento senza interferenze esterne, Letta si è invece autocandidato a risolvere i cosiddetti “nodi giuridici” sollevati dalla Santa Sede: pronto a recitare da power broker sia con gli oppositori parlamentari del ddl Zan, sia con i pasdaran del testo attuale. Ma chi ha detto che il ddl debba essere ora ridiscusso in Parlamento con le “migliorie” proposte in corsa da un “lodo Letta” sulla base dei desiderata (diplomatici e riservati) della Santa Sede?

Sono mesi che Lega, FdI e Fi esprimono forti perplessità sul ddl, raccogliendo fra l’altro umori e preoccupazioni di vescovi, sacerdoti, religiosi e laici cattolici italiani: tutti indiscutibili titolari di diritto di voto democratico. Il rischio penale per un parroco o un’associazione cattolica pro-family diventa un “nodo giuridico” solo quando il leader Pd lo dichiara tale dopo un passo diplomatico dello Stato della Chiesa? O è invece un “nodo politico” che il Pd si è finora tenacemente rifiutato di affrontare entro i confini italiani? La rappresentanza politica dei cattolici italiani è prerogativa-monopolio dei dem? Oppure è proprio questa pretesa (una delle molte varianti della presunta “superiorità morale” rivendicata dal Pd)  ad aver infine obbligato la Santa Sede a un passo indubbiamente problematico nella modalità istituzionale, ma chiaramente fondato sul terreno costituzionale della libertà d’espressione religiosa?

Un altro singolare corto circuito politico-mediatico ha coinvolto Andrea Riccardi: fondatore della Comunità di Sant’Egidio, storico della Chiesa, già ministro nel governo Monti. “La Nota viene da ambienti del clero italiano e non da Papa”: questo il virgolettato attribuito a Riccardi da Repubblica, nel titolo di un’intervista a caldo. Secondo Riccardi, quindi, un atto diplomatico predisposto dall’arcivescovo Paul Gallagher (segretario ai Rapporti con gli Stati della Santa Sede, alle dirette dipendenze del Segretario di Stato) e consegnato all’ambasciatore d’Italia Pietro Sebastiani – come confermato dalla Sala stampa vaticana – sarebbe l’esito di un’interferenza di “ambienti del clero italiano” a insaputa del Papa o addirittura contro la sua volontà.

È una versione-lettura dell’accaduto che, naturalmente, nessuno ha voluto accreditare e da cui il giorno dopo anche le pagine di Repubblica hanno voluto distanziarsi, mettendo più correttamente in prospettiva la dinamica del leak. Insistere sullo schema del “complotto ecclesiale sulle due sponde del Tevere” avrebbe fatto torto grave anzitutto al buon senso giornalistico (o “storiografico”), prima ancora che alla credibilità del Papa e della Santa Sede.

È vero che giusto dieci anni fa Riccardi entrò a far parte di un governo fortemente sospettato di voler imporre all’Italia un’austerity voluta da “ambienti europei”: ma è un passaggio di storia nazionale che attende ancora di essere chiarito. Può darsi che qualche risposta possa essere cercata fra le pagine di Il gregge smarrito, libro in uscita in questi giorni a cura di un nuovo club cattolico (Essere Qui) che vede Riccardi al tavolo con Romano Prodi e Giuseppe De Rita. È una riflessione instant sul cattolicesimo italiano dopo la pandemia. Lo stesso “ambiente” che prima e durante la pandemia sembrava aver individuato nel premier giallorosso Giuseppe Conte il leader di una nuova forza politica. Che forse Conte si accinge ora a partorire.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI