Sarà battaglia in aula. Dal 13 luglio il ddl Zan sarà sottoposto, senza relatore, al voto dei senatori nella versione approvata dalla Camera nel novembre scorso. Lo ha deciso ieri il Senato, calendarizzando il testo dopo che tutti i tentativi di mediazione non hanno prodotto risultati.

Molti i risvolti politici. Innanzitutto il deficit di iniziativa politica di Enrico Letta. Renzi ne approfitta e si intesta la mediazione, perché i numeri per approvare la legge così com’è non ci sono. M5s rimane sullo sfondo, diviso al suo interno dal confronto sulla leadership. Una crisi che preoccupa molto in casa democratica.



In ogni caso la discussione sul ddl non avrà alcun effetto sulla stabilità del governo, dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. “Il dibattito sembra anzi un modo per spogliarsi delle responsabilità e delegare a Draghi di occuparsi di tutto il resto”. Il vero problema che non tarderà ad emergere, secondo Folli, è che per la prima volta stiamo andando verso l’elezione del capo dello Stato senza un regista dotato della visione strategica e della forza parlamentare per costruire una soluzione”.



Cominciamo dal Pd. Fare muro paga?

Se andiamo a vedere i sondaggi, il consenso al Pd è sostanzialmente stabile intorno al 19%. Ciò significa che la scelta di Letta di attestarsi su istanze radicali – il voto i sedicenni, la dote ai diciottenni, lo ius soli – non ha dato una spinta risolutiva al Pd, ma non lo ha neppure danneggiato.

Veniamo al punto. Il ddl Zan?

Uno spazio di mediazione c’era, ma ha lasciato l’iniziativa a Renzi. Se avesse assunto lui l’iniziativa, forse adesso la situazione sarebbe diversa.

Che cosa ne conclude?

Sul piano tattico ha commesso un errore. Sul piano strategico, ogni interrogativo è prematuro, e credo che lo stesso Letta ne sia consapevole. Ritengo che aspetti le comunali per vedere come andranno le cose. Se dovessero andare non troppo male, e potrebbe essere, perché il centrodestra fuori Roma mi sembra male attrezzato e a Roma è un grosso punto interrogativo, a quel punto si può immaginare che Letta possa prendere delle decisioni più innovative di quanto fatto finora.



Cosa significa non troppo male?

Vuol dire che il suo Pd non può permettersi di perdere Roma. Una sconfitta sarebbe un problema serio. Tutto entrerebbe in discussione, a cominciare dalla sua segreteria.

La Chiesa interviene, Letta fa il “cattolico adulto” mentre Salvini punta a modificare il testo. Che cosa sta succedendo?

È l’errore che abbiamo detto. Letta avrebbe potuto trovare una mediazione, dettata non dal Vaticano ma dal fatto che alcuni aspetti del ddl Zan sono oggettivamente discutibili. In più avrebbe confermato il ruolo centrale del Pd in parlamento.

Adesso invece?

Se assume un’iniziativa, lo farà perché Renzi lo ha preceduto. Se invece rimane fermo, rischia fortemente di non far passare la legge.

Andare alla conta può destabilizzare il governo?

Lo escludo. Anzi. Tutta la discussione sul ddl Zan potrebbe sembrare – e di fatto è – un modo per parlare d’altro mentre Draghi si sta occupando delle questioni serie del paese: economia, lavoro, contagi, ripartenza.

Perché Renzi ha aperto ad un patto per il Colle con la destra e perché adesso?

In Renzi continua ad esserci un tratto un po’ guascone. Se avessi un partito del 2% starei attento a dire, sette mesi prima, come voglio decidere il capo dello Stato. La sua sortita, però, pone un problema serio.

Quale?

Per la prima volta stiamo andando verso il rinnovo della presidenza della Repubblica senza un regista dotato della visione strategica e della forza parlamentare per costruire una soluzione.

Il perno non potrebbe essere il centrodestra?

Non è mai successo, è sempre stato il centrosinistra a svolgere questo ruolo. E poi mi sembra difficile che il centrodestra, diviso com’è, possa diventare l’architetto dell’elezione. A questo si aggiunge un paradosso.

Sarebbe?

Proprio il centrodestra ha disperatamente bisogno di qualcuno che dal Quirinale gli faccia da garante in Europa in caso di vittoria elettorale. Non ultimo, c’è il fattore Berlusconi. L’ex premier è convinto di poter fare il presidente della Repubblica.

Lei dice che un regista non c’è. Neppure all’ambasciata degli Stati Uniti?

Giusta osservazione. Che ci siano delle attenzioni esterne molto forti non c’è dubbio, però il regista dev’essere un attore della politica italiana, deve controllare i gruppi parlamentari.

Allora la mossa di Renzi è un riflesso di questa situazione.

Renzi ha visto la possibilità di inserirsi e prova a guadagnare spazio, cercando il modo di condizionare una forza parlamentare esistente. Commette l’errore di farlo male.

Come gioca in tutto questo la crisi di M5s?

È l’elemento senza precedenti e complica enormemente il quadro. Si capisce la preoccupazione di Letta: il patto con Conte avrebbe consentito a M5s e Pd di avere una massa critica che adesso non c’è più.

Mattarella potrebbe avere un ruolo. 

L’ipotesi di un bis non si può escludere, ma nemmeno dare per scontata. Resterebbe sempre un modo di calciare in avanti la palla.

Il  playmaker non potrebbe essere Draghi stesso?

Draghi può essere eletto, ma è la regia che manca, qualcuno capace di gestire la situazione impedendo che le votazioni diventino un far west.

Alla luce di tutto questo, come vede il semestre bianco?

Potremmo avere singoli episodi di tensione, ma escludo una crisi di governo. Nessuno può prendersi la responsabilità di buttare all’aria un governo senza alternative, che per di più gode di un prestigio così alto in Europa. La destabilizzazione di M5s apparentemente favorisce il caos parlamentare, però neppure i 5 Stelle sanno a che santo votarsi. Aprire una crisi senza avere la più lontana idea di come gestire il vuoto, con i grillini divisi al loro interno, sarebbe un suicidio.

(Federico Ferraù)

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