Per fortuna, avendo ancora un sistema bicamerale, abbiamo ancora la possibilità di non rischiare di trasformare una legge pensata per difendere alcune libertà in una legge che ne offende altre in quanto c’è il rischio reale di considerare reati le opinioni di chi non condivide quelle di altri. Il punto su questo complicato e delicato ddl che intende sanzionare l’omotransfobia sul quale si sono riempite le piazze a favore senza ascoltare anche autorevoli pareri giuridici va affrontato anche perché siamo precipitati in una disputa radicalizzata/politica/ideologica da cui non ne usciamo se non si analizzano serenamente errori e definizioni usate nella proposizione del testo uscito dalla Camera.
Partiamo da ciò che la Costituzione italiana definisce sesso in merito alla possibile discriminazione che insieme a razza, lingua, religione e opinioni politiche si possa subire. La legge Mancino del 1993 ha ratificato la Convenzione dell’Onu in tema di discriminazioni, ma né quest’ultima né la legge tengono conto del fatto che la nostra Costituzione, appunto, indica il sesso come primo fra i motivi di discriminazione vietata. Ma il sesso non è compreso né nella Convenzione, né nella legge Mancino. Vero è che il sesso biologico è reale, importante, immutabile e non può essere confuso con l’identità di genere; prevedere poi che l’identità legale delle donne possa includere sia maschi che femmine lo rende privo di significato mentre un fatto è che le donne trans sono uomini.
Una confusione antropologica mette in discussione la differenza uomo-donna che esiste e vive insieme a noi. Bisogna chiarire definitivamente cosa si intende per sesso confuso con la nuova definizione identità di genere. Senza imbrogli lessicali, dunque, definire cosa il ddl Zan intende sanzionare diventa fondamentale senza determinazioni ambigue perché si supera arbitrariamente gli illeciti penali e si invade la libertà della persona e, soprattutto, il pericolo reale di un’espansione dell’ambito di interpretazione del giudice c’è e non auspicabile.
Vero è che, se allora la definizione è sbagliata si restringe la portata del reato solo a questa forma di discriminazione e non alle altre, come la religione e la razza, e quando nel ddl (art. 4) si dice che «sono fatte salve le libere espressioni di convincimenti e opinioni» resta un vulnus di come si procede su altri casi di discriminazione provocati da altri fattori, così come le «condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee»: le condotte legittime per definizione non possono costituire reato. La dottrina in attuazione dell’articolo 21 della Costituzione parla chiaro e ne pretende l’applicazione.
Poi, certo, la polemica feroce si trascina dietro la questione patetica del genitore 1 e genitore 2 mettendo negli uffici dell’anagrafe una scelta anacronistica, avanzando a gamba tesa la commercializzazione dell’utero in affitto, ecc. Questa è un’altra storia, ma fa sempre parte del problema reale che si deve affrontare: che tipo di società vogliamo creare insieme, che tipo di educazione e formazione possiamo e dobbiamo dare ai nostri figli? Perché le fragilità e le diversità e le libertà vanno affrontate ma con buonsenso e soprattutto non rimaneggiando la Costituzione; sono abbastanza sicura (mi si perdoni questa presunzione) che nelle aule scolastiche ora, già provate da periodi di mancanza di certezze, non ci siano competenze, professionalità e sensibilità adeguate per parlare a dei giovani di gender (l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, ecc.) senza creare in loro ancora più confusione.
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