La legge Zan, dopo lo spot di Fedez in occasione del Concertone del Primo maggio, è ormai al centro di un dibattito che, uscito dal Parlamento, impegna l’opinione pubblica nelle piazze e nei talkshow televisivi, come se la vita politica del Paese fosse prevalentemente concentrata su questo punto.
Il problema è che l’attenzione della tv e della stampa, compresi i social media, è decisamente a senso unico e, salvo qualche sporadico intervento, tutto ruota intorno alla tutela delle persone che appartengono alla comunità, più virtuale che reale, LGBTQ+.
Eppure sul no alla violenza nei loro confronti c’è un accordo generale talmente forte e convinto, che nell’ambito del centrodestra abbiamo presentato un ddl che su questo punto è ancora più chiaro, fermo e determinato della stessa legge Zan. Ma su questo disegno di legge, Ronzulli-Salvini-Binetti-Quagliariello, che potrebbe rappresentare un punto di mediazione di alto profilo, si è creato un singolare silenzio stampa: nessuno ne parla, anche se va al cuore stesso del problema sollevato da Zan per mettere un definitivo stop a ogni forma di violenza nei confronti degli omosessuali, dei transessuali eccetera.
La collega Cirinnà ha subito organizzato una campagna di opinione per dire che la legge Zan non si tocca, che va approvata così com’è, al netto delle perplessità che sono state sollevate sia dal mondo cattolico che dallo stesso mondo delle femministe storiche e di alcuni esponenti Pd. Come dire, la legge è perfetta e non più perfettibile: vero dogma del pensiero LGBTQ+.
La legge Zan, infatti, è già oggi una sorta di dogma intangibile; non solo e non tanto per la sua opposizione a ogni forma di violenza, ma perché assume una posizione esplicitamente punitiva nei confronti di chiunque esprima un pensiero altro da quello contenuto nella legge. La legge, non dimentichiamolo, a molti pare ambigua ed equivoca proprio per la sua intolleranza verso chi ha opinioni diverse da quelle della comunità LGBTQ+. Il paradosso della legge Zan è che ha capovolto il paradigma dell’intolleranza. Da vittime di una presunta intolleranza gli LGBTQ+ sono diventati radicalmente intolleranti nei confronti di coloro che non si allineano al pensiero a senso unico da loro espresso.
Basta pensare ad alcune semplici conseguenze di questa impostazione: per esempio, il cambio anagrafico per cui ogni bambino ha un genitore 1 e un genitore 2, senza alcun riferimento al loro sesso e al loro ruolo di madre e di padre. Ne consegue immediatamente l’abolizione della festa della mamma e del papà, in cui invece sessi e ruoli sono assolutamente chiari. Ma se sessi e ruoli non hanno più alcuna importanza, che senso ha dire no all’utero in affitto, in quel mix confusivo di compartecipazione a un evento come il concepimento e la nascita, che inizia fin dall’inizio dei tempi con il racconto biblico (Genesi 4:1-24): Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, … e poi partorì ancora Abele, fratello di lui. E’ semplicemente l’inizio della storia dell’umanità, che nella logica della legge Zan si capovolge, perché è quasi discriminatorio affermare una tale netta distinzione di sessi e di ruoli.
D’altra parte, dal palco di Piazza Sempione di sabato scorso i grandi sostenitori della legge Zan hanno perfettamente delineato un itinerario di cui l’utero in affitto è la naturale continuità, così come conferma lo stesso calendario dei lavori alla Camera dei deputati. Votata la legge Zan, in automatico si passa alla legge sull’utero in affitto.
Ma poiché questa espressione nella sua brutalità si avvicina troppo alla realtà, ecco l’operazione di maquillage linguistico e parliamo di gravidanza solidale: un gruppo di persone a puro scopo di lucro si associa per garantire un bambino, troppo difficile parlare di un figlio, a una coppia che può pagare per portarlo a casa. Ovviamente la solidarietà di questo tipo di gravidanza include anche magistrati compiacenti, ufficiali dell’anagrafe eccetera, tutti disposti a registrare la nascita di un bambino senza nessuna genealogia. Una volta li chiamavano figli di n.n., bruttissima espressione; oggi sono figli di una gravidanza sociale: vero e proprio anonimato di gruppo.
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