Al Senato continua il dibattito sulla legge Zan, attualmente incardinato in Commissione Giustizia. C’è una vasta pressione dell’opinione pubblica per approvare in fretta, senza modifiche di nessun tipo, il disegno di legge così come è stato licenziato dalla Camera. Anche se le perplessità che sussistono su questa legge sono ogni giorno di più e provengono da ambienti molto vicini alla cultura della sinistra progressista o addirittura da importanti esponenti del mondo LGBTQ+, per lo più donne.



Per i sostenitori della legge l’obiettivo è evitare che il Senato, modificando la legge, la invii nuovamente alla Camera per una ulteriore approvazione delle parti modificate. La conoscenza dei tempi parlamentari rende lecito il sospetto e il rischio che in questo modo la legge non riesca ad essere approvata in questa legislatura. Esattamente ciò che vogliono invece coloro che della legge intravvedono gli aspetti negativi e le conseguenze che potrebbe avere sul piano della libertà di scelta in chi non si allinea al pensiero LGBTQ+, che finirebbe con l’imporre non pochi limiti alla libertà di espressione. Per questi ultimi perciò l’opzione preferita non è modificare una legge, che per certi versi è stata definita inemendabile, ma evitarne la calendarizzazione.



Non c’è dubbio che la pressione dell’opinione pubblica, supportata da illustri rappresentanti del mondo dello spettacolo, punti a fare della legge Zan una icona dei diritti civili, facendo leva su di un concetto che ha già una sua forza intrinseca. Il No alla violenza contro chiunque è un obiettivo facilmente condivisibile. Ma la legge Zan va ben oltre questa affermazione perentoria, per cui sorge il legittimo dubbio che chi la difende con tanto accanimento probabilmente non ha mai veramente letto il testo nella sua completezza. E’ come se si fosse formata una sorta di bolla mediatica in cui la legge Zan appare come la paladina dei deboli e degli indifesi, vittime di ingiuste aggressioni. Oppure sia garante di una libertà di amare che non conosce limiti né barriere. D’altra parte quel Più recentemente aggiunto all’antica sigla LGBT sta proprio a dimostrare che tutto deve poter essere possibile, tutto ciò che può essere desiderato è incluso in quel più che nella sua indeterminatezza incute anche una serie di timori. La legge Zan è quindi diventata nel lancio mediatico, che di giorno in giorno se ne fa in TV e sulla grande stampa, l’immagine fedele di una libertà senza confini che chiede solo di poter amare liberamente e di poterlo fare senza subire neppure una critica, perché già solo questa potrebbe apparire discriminante e quindi segno di violenza.



Eppure il primo e miglior servizio che si potrebbe fare alla verità delle cose è far leggere direttamente e completamente il testo della legge, per capire cosa dice e cosa non dice. Ma, ripeto, pochissima gente lo ha fatto. Quel che si conosce è la narrazione che avvolge la legge e ne rilancia gli aspetti che se riecheggiano nuove e più ampie libertà per alcuni, ne condizionano e limitano altre per tutti gli altri. Nessuno conosce una serie di risvolti della legge Zan che negano concetti come natura e identità; che confondono desiderio e orientamento; che rifiutano differenze e somiglianze, appiattendo le prime sulle seconde. A ben guardare quella famosa giornata dedicata in tutte le scuole di ogni ordine e grado ad affrontare il tema della legge o si traduce in una accettazione incondizionata della legge stessa oppure può essere tacciato di approccio omofobico. Non c’è spazio per la critica, ma neppure per la semplice espressione di un pensiero diverso da quello ormai dominante sui mass media. Quella giornata finirà col diventare la giornata dell’orgoglio gay, ossia un equivalente del Gay Pride, opportunamente finanziato e con il massimo risalto mediatico.

Si è insistito molto sul fatto che si tratta di una legge che condanna l’odio contro le persone che fanno parte della comunità LGBTQ+, ma non si è mai detto quanto sia profondo l’odio a parti inverse. Fino a che punto l’espressione di un pensiero alternativo sia coperto di insulti sui social o in Tv o sulla stampa. Ne sanno qualcosa il collega Pillon da una parte e l’amica ed ex collega Paola Concia dall’altra. Il primo noto per la sua posizione decisamente contraria alla legge, la seconda, membro attivo della comunità LGBTQ+, per aver affermato che si tratta di una legge divisiva che può e deve essere migliorata. Le critiche rivolte all’uno e all’altra testimoniano la estrema suscettibilità di chi chiede e cerca solo piena condivisione e piena adesione al progetto. E’ in questo bisogno assoluto di consenso che si annida il tarlo più pericoloso della legge, che ne fa una sorta di feticcio da contemplare ma da non toccare. Nessuna critica, neppure migliorativa è possibile.

Basta pensare all’iter della legge in Senato, dove essendo stati depositati altri 4 disegni più o meno analoghi, la prassi attuale obbliga la Commissione a tenerne conto. Eppure nessuno dei fautori della legge Zan intende avviare un processo di riflessione e di confronto sui cinque ddl, nel timore che questo possa modificare il disegno di legge diventato punto di riferimento dell’attività parlamentare su questo tema. Una evidente discriminazione verso i colleghi che li hanno presentati, tutti appartenenti all’area Pd-M5S. Si tratta di un ddl a prima firma Cirinnà (Pd), di due ddl a prima firma Maiorino ed Evangelista, entrambi M5S, e di uno a prima firma Unterberger (Minoranze linguistiche). In alcuni casi ci si limita a chiedere la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, inserendo accanto al termine religiosi anche le parole omofobia o transfobia: “a) all’articolo 604-bis, le parole: « o religiosi », ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia».

E’ indubbio che si tratta di un ddl fortemente divisivo sia in Parlamento che nell’opinione pubblica e la prudenza vorrebbe che in un momento così difficile come quello che stiamo attraversando ci si concentrasse sulle due grandi questioni: quella sanitarie, che riguarda la salute di tutti noi e quella economica, che minaccia di travolgere milioni di famiglie e di imprese. Il diritto alla salute e il diritto al lavoro sono presenti nella nostra Costituzione in modo decisamente prioritario e intercettano profondamente anche quel diritto all’istruzione che ha fortemente penalizzato milioni di giovani italiani. Quel che resta del tempo di questa legislatura, ormai vicina alla fine, va investito nelle politiche che registrano il maggior livello di consenso possibile e non va disperso su fronti che non possono che alimentare una conflittualità diffusa: è la regola d’oro delle trattative internazionali. Cominciare con l’assicurare agli accordi in corso prima di tutto ciò su cui si è d’accordo. In questo caso c’è un evidente volontà di sovvertimento di valori e culture. Basta pensare alla velocità con cui la Camera, dopo aver approvato la legge Zan, è passata alla legge sull’utero in affitto, inventando una nuova e bizzarra definizione: gestazione solidale. Perché se da un lato dire no all’utero in affitto può apparire discriminante, omofobico, dall’altro la dissoluzione di concetti e di realtà ben tangibili come quello di maternità e paternità, di madre e di padre, diventa perfettamente comprensibile in assenza di concetti come quello di natura, di identità e di identità di genere, mentre la fluidità di concetti come quello di orientamento rendono tutto possibile e plausibile. Il non definito, o meglio il definito ambiguamente, permette ad ognuno di applicare la legge nella massima autoreferenzialità, a discrezione del giudice e conferme al desiderio e al sentimento del soggetto.

La legge Zan è scritta male, in modo pasticciato, ideologico e confusivo; tale da creare molti più problemi di quanti non possa risolverne. Perché per dire No alla violenza, anche quella contro i soggetti LGBITQ+, basta la legge attuale con una applicazione più attenta e rigorosa e una interpretazione più concreta di quei futili motivi che caratterizzano le aggravanti e sono necessarie, per infiggere pene esemplari e distogliere le persone da certe condotte inutilmente aggressive ed umilianti.

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