Il ddl Zan senza modifiche non passerà. Non lo dice un politico di opposizione o qualcuno tacciabile di omofobia, ma il sottosegretario Ivan Scalfarotto, di Italia viva, omosessuale, marito felice di un altro uomo grazie alla legge sulle unioni civili approvata dal governo guidato da Matteo Renzi, suo attuale capo partito. Scalfarotto ha lanciato il suo avvertimento ieri dalle colonne di Repubblica. È un avviso che pesa. E va a confermare la mossa dell’altro giorno di Italia viva, che nella Commissione giustizia del Senato aveva proposto modifiche di rilievo alla legge già approvata dalla Camera. Il sottosegretario renziano, nella sostanza, ripropone i contenuti di un provvedimento che egli stesso presentò nel 2013, anch’esso (come il ddl Zan) approvato da Montecitorio e poi rimasto fermo a Palazzo Madama.



Se modificato come proposto da Italia viva, il nuovo testo del ddl Zan verrebbe di fatto a sovrapporsi con quello che aveva Scalfarotto come primo firmatario. Soprattutto, si avvicinerebbe molto a quello presentato poche settimane fa dal centrodestra, il cosiddetto Ronzulli-Salvini. Per prima cosa, verrebbe cancellata la contestatissima definizione di “identità di genere” ora contenuta all’articolo 1 del ddl Zan. E poi sopprimerebbe la “clausola salva-idee”, cioè eliminerebbe i riferimenti alla libertà di pensiero e di espressione. Andrebbe quindi incontro alla posizione di Matteo Salvini, favorevole a togliere l’ideologia dal provvedimento: anche ieri il segretario leghista ha giudicato “interessanti” le proposte di modifica avanzate da Italia viva. Senza contare l’apertura scalfarottiana alle posizioni espresse dalla Segreteria di Stato vaticana.



Tecnicismi a parte, la questione è politica. La mossa dei renziani ha lasciato scoperto il fronte Pd-M5s che sostiene il ddl Zan a tutti i costi. “Va approvato così com’è”, continua a ripetere il segretario Pd, Enrico Letta. E gli sbrindellati grillini gli fanno eco. Ora invece una cosa è diventata chiara: se si dovesse andare al muro contro muro, il ddl Zan non passerebbe al Senato perché mancherebbero gli indispensabili voti dei renziani. Vedremo dunque se Letta aprirà a un confronto che inevitabilmente porterebbe a un terzo passaggio alla Camera, oppure s’incaponirà verso lo scontro.



La questione posta da Italia viva non si limita al ddl Zan. Per la seconda volta, Renzi ha sguarnito l’asse Pd-M5s che sosteneva il precedente governo. Lo scorso inverno ha fatto saltare l’intero esecutivo aprendo la strada alla coalizione di unità nazionale guidata da Mario Draghi e togliendo il coperchio all’inadeguatezza dei giallorossi. Ora, sfilandosi dal fronte oltranzista pro Zan, l’ex rottamatore mostra nuovamente che l’accordo tra il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle continua a non reggere, anzi si deteriora sempre di più. E porta alla luce del sole una conferma: l’avvicendamento alla segreteria Pd tra Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, il quale si era presentato sbandierando una nuova linea politica tutta ideologica fatta di ius soli e diritti vari, in realtà non ha portato nessun cambiamento. Dopo la cacciata da Palazzo Chigi, l’ex capo del governo si era ritirato in Francia nel 2014 meditando rivincite. E ora che ha fatto la sua rentrée, si ritrova ancora impallinato dallo stesso Renzi che sette anni fa prima lo invitò a “stare sereno” e poi gli sfilò la poltrona di premier. Purtroppo per lui, nemmeno oggi il povero Letta ha motivi di serenità.

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