Il Vaticano fa la “solita” ingerenza sui temi etici nelle leggi italiane (come aborto e divorzio)? Servirebbe un Paese più libero dai condizionamenti “religiosi”? La Chiesa dietro alla nota sul Ddl Zan nasconde in realtà un messaggio omofobo che non accetta una legge a tutela della comunità LGBTQ? Già ieri come “Sussidiario” abbiamo affrontato in un veloce “domanda-risposta” i principali punti emersi su social e media che condannavano la scelta della Santa Sede, rispondendo e argomentando punto su punto: oggi però sul “Quotidiano Nazionale” l’editoriale di Lucetta Scaraffia riesce a racchiudere al meglio quanto vi sia in gioco nella battaglia in itinere, facendo il paio con gli altri editoriali presente oggi sul “Sussidiario” a firma Paola Binetti e Lorenza Violini.
«Quella che da molti viene definita un’inedita e pericolosa ingerenza vaticana nella politica italiana, e quindi una pressione confessionale e oscurantista contro un progresso del nostro paese in tema di libertà, è invece ben altro. E non bisogna paragonare questo passo diplomatico alle battaglie combattute dalla chiesa contro il divorzio e contro l’aborto», scrive la giornalista e scrittrice sul gruppo editoriale “Quotidiano Nazionale” (Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno).
LA (VERA) BATTAGLIA DEL VATICANO
La battaglia invece “giocata” dal Vaticano nei confronti dello Stato è invece per una libertà di pensiero di tutti, una liberta di parola di chi «non vuole nelle sue scuole una giornata contro l’omofobia né rinunciare a dire cosa pensa dell’ideologia molto controversa del gender». Ebbene, non si tratta di una istigazione di odio contro omosessuali, bisessuali o trans: per Scaraffia il punto in questione – al di là della giusta rivendicazione di uno Stato estero su un trattato siglato con un altro Paese (il Concordato tra Italia e Vaticano aggiornato nel 1984, i cui principi sarebbero a rischio con alcuni passaggi del Ddl Zan) – è poter ancora avere la libertà di dire «che gli esseri umani, tranne una minoranza esigua, nascono o donne o uomini». Questo non significa che la Chiesa “vieta” di scegliere il comportamento sessuale, la propria sessualità o qualsivoglia scelta personale: «Significa solo poter affermare una verità che è sotto gli occhi di tutti, sostenuta anche da laici e da una parte delle femministe. Significa dire che i desideri trovano un limite nella realtà, e dobbiamo tenerne conto se non vogliamo entrare in una confusione pericolosa e sterile».
La libertà di pensare, di credere, di dire e anche di rispettare le opinioni e scelte altrui: c’è tutto questo in gioco, come giustamente rivendica Scaraffia citando Hannah Arendt, «senza libertà di pensiero si cade nel fanatismo, si accetta la dittatura, si è portati a obbedire a ordini sbagliati». Come già ribadito in tanti focus negli ultimi due giorni, ci uniamo all’appello lanciato da Lucetta Scaraffia: il rischio di «creare un mondo dove tutti sono liberi fare quello che vogliono ma di fatto sono obbligati a pensare le stesse cose» è un problema serissimo che, a loro tempo e in campi completamente diversi, Giorgio Gaber e Papa Ratzinger avevano posto in maniera illuminante. Il primo nel monologo “L’America” («la libertà è alla portata di tutti, come la chitarra. Ognuno suona come vuole, e tutti suonano come vuole la libertà»), il secondo con la mirabile lezione sulla dittatura del relativismo.