La militanza nel popolarismo trentino fu il viatico per entrare nel Partito popolare italiano di Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi già nel giugno del 1919 prese parte ai lavori del congresso nazionale a Bologna, ma non poté presentarsi alle elezioni di quell’anno perché il Trentino non era ancora stato annesso ufficialmente al Regno d’Italia. Venne eletto nelle elezioni del 1921 con oltre 50mila voti e poi presidente del gruppo parlamentare Ppi alla camera spingendo, come nota Andreotti, a superare l’isolamento in cui il massone Nitti aveva costretto le forze sociali e politiche cattoliche, con l’appoggio al governo Bonomi.



Un periodo complicato, quello della crisi dello Stato liberale, tra “sterilità socialista, incertezza cattolica e accondiscendenza liberale”, che portarono Mussolini a prendere l’iniziativa per ottenere il suo “trionfo”. Esso si palesò con il governo di unità nazionale scaturito dopo la Marcia su Roma e l’approvazione della legge Acerbo, alla quale De Gasperi votò contro. Dopo le elezioni del 1924 fu eletto segretario politico del Ppi al posto di don Sturzo. Fu tra i deputati che si ritirarono in Aventino, ma Andreotti fa notare che furono i liberali come Salandra, Giolitti e tanti altri, appoggiando il Fascismo (o cercando di normalizzarlo), a facilitare la svolta autoritaria del partito e dello Stato.



La prima vittima della compagine parlamentare fu proprio De Gasperi: una campagna diffamatoria orchestrata dalla stampa fascista lo prese di mira già sul finire del 1924 e nel 1925 la polizia lo tenne costantemente sott’occhio, sino alle dimissioni dalla segreteria politica del Ppi nel dicembre di quello stesso anno. Non ci volle molto perché il deputato trentino rimanesse isolato ed essendo dichiarato decaduto dal parlamento iniziarono le persecuzioni vere e proprie, sino all’arresto per tentato espatrio clandestino e alla detenzione.

Molto preciso il racconto di Andreotti riguardo a quegli anni dolorosi, anche sul piano familiare. L’assunzione alla Biblioteca vaticana, nel 1929, risolse i problemi economici dell’ex deputato, che così terminava un lustro di difficoltà, delusioni, patimenti e ridava all’uomo la dignità che il Fascismo nascente gli aveva negato. Colpisce tra l’altro il tono di una missiva del 1931 di Pio XI a Mussolini, il quale si era lamentato della presenza in Vaticano dell’ex deputato popolare; il Pontefice, che non ricevette mai in udienza l’ex parlamentare, fece dire al dittatore di non pentirsi “di aver dato a un onest’uomo ed onesto padre di famiglia un poco di quel pane che voi (Mussolini, ndr) gli avete negato”.



Rinascita e guida dell’Italia

Andreotti, come abbiamo fatto notare, ha sottomano molti testi del suo mentore, e in uno del 1946, riferendosi all’ultimo congresso del Ppi risalente al 1925 si legge: “C’era una sola possibilità, quella di affermare la propria indipendenza morale e salvaguardare la libertà della propria coscienza. L’ultima parola come segretario del partito fu questa; aspettare l’ora della giustizia, non disperare della libertà”.

Ne emerge non la figura di un cospiratore, perché sapeva che le masse cattoliche non avrebbero assunto atteggiamenti di aperta ribellione, ma di un’opposizione morale, individuale alla dittatura, appresa quando lottava contro il pensiero unico del pangermanesimo austriaco per affermare l’irredentismo trentino moderato e mai violento. I contatti con gli intellettuali e gli ex politici popolari iniziano già nel 1942 e De Gasperi “era riconosciuto da tutti come il capo del partito che andava riformandosi”.

L’autore fa notare che lo stesso Mussolini, tra il 1944 e il 1945, in più occasioni ribadì che tra i superstiti della vecchia democrazia, De Gasperi era l’uomo adatto a prendere in mano le redini del governo; al podestà di Milano Mario Colombo il 19 aprile 1945 disse che “oltre a essere uomo politicamente preparato era anche estremamente equilibrato”. Non è qui la sede per descrivere tutte le fasi della ricostituzione del partito cattolico con il nuovo nome di Democrazia Cristiana e comunque il testo ci introduce nelle trattative tra la Corona, Badoglio, Bonomi, De Gasperi e le forze politiche riemergenti nel doloroso trapasso dell’estate 1943.

La clandestinità nel Seminario Lateranense con tanti esponenti antifascisti tra cui Casati, Nenni, Saragat, le sedute del CLN, la liberazione di Roma, la formazione del governo Bonomi, i rapporti con i comunisti e Togliatti, la nomina a ministro degli Esteri nel secondo gabinetto Bonomi e lo scontro con gli esponenti del CLN che portavano con sé lo spirito della resistenza e del “vento del nord”, sono alcuni momenti della vicenda  personale e pubblica del capo dei cattolici democratici in cui il volume di Andreotti si sofferma.

Un uomo concreto pienamente democratico che sosteneva la ricostruzione dello Stato basato sul primato della legge, come ebbe a dire Leo Valiani, che preconizzava la sua guida dell’Italia negli anni a venire. L’autore del volume riporta il celebre discorso di De Gasperi in cui, davanti alla stampa internazionale, rintuzzava la denuncia del primo ministro Parri di un ritornante fascismo attribuibile, secondo l’ex capo del CLN, a coloro che mostravano riserve al suo governo. Il ministro degli Esteri ribadì che la difesa del metodo democratico non aveva nulla a che fare con un “colpo di Stato” e che era assurdo riconnettere, sia pure indirettamente, la Democrazia Cristiana con “qualsiasi velleità o manovra fascista”. L’episodio mise fuori gioco Parri dalla compagine governativa e contemporaneamente indicò in De Gasperi il suo successore naturale.

Presidente del Consiglio

La vicenda governativa compresa tra il dicembre 1945 e il 1953 viene trattata da Andreotti con la tecnica della cronaca più che della saggistica, offrendo una lettura viva e in presa diretta. In questo modo si raccontano fatti e si tratteggiano i protagonisti di quella stagione politica dei governi di unità nazionale, del referendum del 2 giugno con il contrastato passaggio alla Repubblica, della stipula dei trattati di pace e della svolta occidentale maturata nel 1947 con l’uscita dal governo di comunisti e socialisti.

In altre parole, più che una biografia del primo ministro ne scaturisce un’interessante full immersion in quel clima politico in cui agiscono in prima persona Nenni, Togliatti, La Malfa, Sforza, Scelba, Saragat, Einaudi, De Nicola e tutti i protagonisti della Dc di quell’eccezionale periodo di rinascita repubblicana dell’Italia.

L’approvazione della Costituzione, il trionfo del 18 aprile, e soprattutto lo scontro frontale con Pci e Psi sul Patto atlantico sono altri fatti di assoluta rilevanza per la nazione – ribadisce Andreotti – e mentre i comunisti rimanevano isolati, “un governo democratico ne governava le sorti”. Molto altro ancora si può trovare nel racconto dell’allora sottosegretario che segue la vita del Presidente anche nella fase del declino, a partire dalla vicenda della legge elettorale che assegnava alla coalizione di governo, per meglio garantire una governabilità in un sistema parlamentare e proporzionale (a guardar bene, oggi, De Gasperi fu profetico) un premio di maggioranza e che i comunisti definirono impropriamente “legge truffa”.

Ma nuove forze, nuovi soggetti, giovani politici resero meno univoca la visione del partito di maggioranza relativa a cui comunque il vecchio popolare tentò sino alla fine, sino al congresso di Napoli del 1954, di offrire una visione unitaria, in cui chi doveva vincere era l’Italia e non il partito.

(2 – fine)

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