Se l’Italia è l’Italia di oggi, lo dobbiamo soprattutto ad Alcide De Gasperi (1881-1954). La unì Cavour, Giolitti ne fece una nazione industriale e aprì alle realtà sociali, De Gasperi la ricostruì, dopo le devastazioni del Fascismo e della guerra, fondando la Repubblica. Oggi è il 70esimo anniversario della scomparsa dello statista trentino, che come è noto si spense nella sua casa di villeggiatura a Sella Valsugana dopo una lunga carriera politica iniziata nei confini dell’Impero austroungarico, quando era ancora studente ginnasiale, allo scadere del XIX secolo.



Sono molti gli scritti dedicati a questo personaggio politico che fu deputato al parlamento di Vienna, a quello di Roma dopo il primo conflitto mondiale, perseguitato dal Fascismo, bibliotecario in Vaticano e infine costituente e primo ministro dell’Italia repubblicana tra il 1947 e il 1953. Giulio Andreotti, che fu uno dei suoi più stretti collaboratori, ha scritto diversi testi ed elaborato numerose testimonianze sul suo padrino politico. Un suo volume, meno noto del De Gasperi visto da vicino del 1986,  traccia un’approfondita biografia in cui viene tratteggiata la figura umana, il percorso politico e le vicende familiari del capo del governo che lo introdusse alla politica. Si tratta di De Gasperi e il suo tempo, che Arnoldo Mondadori volle commissionare al giovane Giulio Andreotti subito dopo la morte dello statista e che uscì nell’aprile 1956. Una biografia in presa diretta, lontana dall’agiografia memorialistica ufficiale, che la Mondadori di oggi ha sdegnosamente rifiutato di ripubblicare, mostrando quanto poco interessi alla casa editrice più importante d’Italia valorizzare le esperienze e gli uomini che hanno fatto grande il nostro Paese. Eppure, anche se datato e poco conosciuto, è un testo completo che permette anche agli studiosi di individuare temi di ricerca. Ne riprendiamo qui gli spunti più interessanti, valorizzando soprattutto gli aspetti meno conosciuti della vita dello statista.



Il periodo trentino

Nella prima parte emerge un giovane irredentista trentino, che volle salvaguardare le tradizioni, la cultura, la lingua e tutto ciò che era italiano per contrastare in ogni modo il Volksbund, il progetto di germanizzazione che gli austriaci misero in atto con ogni mezzo per sradicare la cultura dell’ultima provincia italiana in loro possesso e inserirla nell’ambito nazionalista pangermanico.

Ma il giovane attivista si oppose anche alle forze anticlericali liberali e alla propaganda socialista, partendo da una visione cristiana della società improntata al moderatismo; fu giovanissimo giornalista de La voce cattolica, fondata dal celebre sacerdote don Celestino Endrici (poi l’ultimo principe vescovo di Trento) che disdegnando il conservatorismo cattolico fu uno dei primi propugnatori del cristianesimo sociale. Animatore dell’Associazione Universitaria Cattolica Trentina, De Gasperi si spese per sostenere le popolazioni, grazie alla realizzazione di società agricole operaie, casse rurali e cooperative.



A Vienna frequentò la facoltà di filosofia, continuando l’impegno nell’associazionismo cattolico, che proseguiva durante le vacanze nella propria regione. Ritornato a Trento dopo la laurea nel 1905 fu nominato dal vescovo direttore de La voce cattolica (poi con il nuovo nome de Il Trentino), con cui sostenne il Partito popolare trentino, organo politico non confessionale e sempre schiarato sui valori dell’italianità, in polemica con le tendenze pangermaniche delle autorità statali e del socialismo ateo e rivoluzionario.

Il passaggio alla politica fu una conseguenza necessaria. Nel 1909 De Gasperi è consigliere comunale a Trento e due anni dopo deputato al Reichsrat di Vienna. In questa veste ebbe l’occasione di confrontarsi, ma anche di collaborare, con il deputato irredentista socialista Cesare Battisti (fucilato come traditore nel 1917 perché militò nell’esercito italiano) e conobbe, polemizzando con lui, il propagandista socialista inviato oltre confine Benito Mussolini, espulso dal territorio imperiale nel 1909.

Il primo conflitto mondiale

Andreotti, recuperando gli atti dell’attività parlamentare di Vienna, descrive l’attività del giovane deputato di nazionalità italiana e le molte azioni benefiche in difesa dei circa 100mila internati e profughi italiani che l’Impero considerava collusi con il nemico e che aveva deportato in campi di detenzione nelle regioni di più fidata fedeltà alla duplice monarchia. Sfuggito all’internamento forzato delle regioni militarizzate, a Vienna entrò a far parte del Comitato di soccorso dei profughi, unico ente accettato dal governo austriaco, grazie al quale si distinse sugli approvvigionamenti alimentari in favore dei prigionieri. Nel 1917, alla riapertura del parlamento, dopo tre anni di chiusura, riprese anche l’attività politica nel segno di una chiara opposizione agli Asburgo e a una federazione di Stati, uniti sotto la monarchia. Molto utili le traduzioni dal tedesco di alcuni interventi del deputato trentino e la descrizione del clima di ostilità crescente verso tutto ciò che fosse differente dalla cultura e dall’identità tedesca. Nella dissoluzione dell’Impero, Andreotti ci segnala come sul finire della guerra il deputato fu nominato segretario del Fascio nazionale italiano, l’unione politica di tutte le realtà italiane entro i confini della monarchia asburgica, che ispirandosi ai 14 punti di Wilson si dichiararono appartenenti all’Italia e non più sottomessi alla sovranità di Vienna.

(1– continua)

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