Neanche durante la gestione della crisi sono mai andati d’accordo. Se Vincenzo De Luca si è trovato subito a suo agio nei panni del generale e ha interpretato al meglio la linea dell’intransigenza e della chiusura totale, Luigi de Magistris si è immediato autoproclamato paladino di chi in città ha sempre considerato il lockdown un’esagerazione, frutto più di una decisione politica nazionale, con lo scopo di non isolare le Regioni più colpite del Nord, che di una reale necessità.
Ora che l’emergenza è finita lo scontro tra sindaco e governatore sta diventando, se possibile, ancora più aspro. Anche perché sullo sfondo avanza il doppio appuntamento elettorale, che porterà in pochi mesi i napoletani a votare per il nuovo presidente della Regione e poco dopo anche per il nuovo sindaco.
De Luca è abbastanza certo della rielezione. Non era così prima dell’epidemia. Ritiene, con qualche ragione, che sia da ascrivere alla sua linea della fermezza il considerevole risultato di aver tenuto fuori dai confini regionali il virus e soprattutto di aver contenuto l’afflusso di malati nelle scarse e mal messe terapie intensive regionali.
Ma come si sa, in politica la riconoscenza non è proprio tra i principali motivi di consenso. Anzi. Per questo il governatore campano ha chiesto con forza al Governo di poter votare il più presto possibile, anche a luglio. Lo slittamento del voto a settembre (13 o 20 le due date più probabili) non lo mettono al riparo da una riorganizzazione delle sue tante opposizioni.
È di ieri la notizia che Fulvio Bonavitacola, il vicepresidente della giunta (l’unico vero braccio destro di De Luca), ha preso carta e penna e ha convocato i partiti e i movimenti, le sigle di ogni tipo e orientamento, per stringere i tempi di avvio della campagna elettorale. Mossa insolita, perché in genere spetta ai partiti – almeno ai più grandi – menare le danze. Ma De Luca non ammette più finzioni. È lui l’unico candidato, e chi non è d’accordo è pregato di accomodarsi fuori.
Il punto politicamente rilevante è che “fuori” rischia di rimanere un bel pezzo di quella che a livello nazionale è l’attuale maggioranza di governo. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, che non prende neanche in considerazione l’ipotesi di un accordo sul governatore uscente. E si orienta a candidare l’attuale capogruppo in consiglio regionale Valeria Ciarambino. Rischia di manifestare un certo disagio anche Italia Viva che in Campania risponde a Gennaro Migliore e al sindaco di Ercolano Ciro Buonajuto, appena sfiduciato dalla sua maggioranza. Ma anche altri sindaci sembrano subire malvolentieri la scelta di De Luca. Caso limite ad Avellino, dove il sindaco Gianluca Festa si è fatto riprendere mentre intonava con decine di ragazzi della movida cori anti-deluchiani e contro la città di Salerno. Pare che si sia anche beccato una multa da 208 euro per violazione delle norme sul distanziamento sociale.
A guidare l’opposizione a De Luca c’è ovviamente de Magistris, che pure aveva alimentato, con caute aperture, l’illusione di una ricucitura con il Pd. Pochi mesi fa avevano candidato ed eletto insieme nelle elezioni suppletive per il Senato il giornalista anticamorra Sandro Ruotolo.
De Magistris non ha più una maggioranza in consiglio comunale e non potrà ricandidarsi dopo il secondo mandato. Lascerà dunque nel 2021 un comune sull’orlo del dissesto finanziario e il suo movimento è in pezzi. Non gli resta per sopravvivere che tentare la carta-regionali.
Il centro-destra non riesce a trovare la quadra sul candidato, anche se dovrebbe ancora contare su un vantaggio considerevole, almeno sulla carta. Ormai accantonata definitivamente l’ipotesi della riproposizione di Stefano Caldoro, la coalizione è dilaniata tra posizioni ancora oggi inconciliabili. Il braccio di ferro tra i “rinnovatori” guidati dalla Lega di Salvini, che vorrebbero un indipendente come il giovane magistrato Catello Maresca, e i “conservatori” di Forza Italia che ritengono loro diritto esprimere il candidato (si parla dei fratelli Martusciello e di esponenti della componente che fa capo all’ingombrante Cesaro) rischia di gettare all’ortiche ogni residua chance di vittoria.
De Luca appare come il candidato vincente e si parla di ben 14 liste civiche pronte a correre accanto al suo nome. Un po’ troppe anche per lo stesso governatore, che le vorrebbe ridurre a 10, con buona pace del Pd che chiede di mettere un freno ai troppi passaggi da una lista all’altra dei disinvolti consiglieri uscenti.
De Luca fa finta di non vedere i rischi che sono davanti a lui. Intanto una legge elettorale che impedisce il voto disgiunto, che come ricorderete, aiutò molto Bonaccini nel recente voto emiliano. Questo vuol dire che non ci sarà alcun travaso di voti tra le opposizioni di sinistra e il candidato in nome della necessità di fare diga nei confronti del centro-destra.
In secondo luogo sono parecchie le inchieste avviate sulla sua gestione “dittatoriale”. Si vocifera che alcune di queste potrebbe rivelare, a pochi giorni dal voto, qualche sorpresa.
Infine, la crisi economica in Campania è incombente, come nel resto d’Italia. E in particolare colpirà proprio quel settore che aveva avuto un discreto sviluppo in questi anni. Il turismo era ritornato ad essere, con numeri significativi, il motore dell’economia e si era creato un discreto tessuto economico fatto di piccole imprese nei settori della accoglienza, dell’artigianato, dell’offerta gastronomica di qualità, dei nuovi percorsi culturali e ambientali. Tutto fermo, da mesi. E non sarà facile rimettere in moto una “ macchina” alimentata da un aeroporto da 11 milioni di passeggeri, oggi praticamente chiuso.
Incombe, insomma, quella che molti definiscono la “sindrome Churchill”, l’incubo che guasta i sogni di tutti coloro che dopo aver guidato con onore una comunità in un momento difficile poi temono di essere sconfitti nelle urne. Per scarsa riconoscenza da parte del loro popolo, ma anche per la più naturale voglia di facce nuove che non ricordino solo e soltanto i momenti peggiori, appena vissuti.