Quando Deadpool, di fronte a un plotone di altri Deadpool di varie fogge, poco prima della battaglia finale di Deadpool & Wolverine, dice “Finiamola col multiverso” lo spettatore lo spera fortemente. Perché quella che era una possibilità di marketing, ben sfruttata con Spiderman: No Way Home, si è rivelata col tempo una catena che ha condotto l’universo cinematografico Marvel (e a ricasco tutti i concorrenti) dentro una confusione che ha impedito al pubblico di affezionarsi a personaggi e situazioni.



Il nuovo film targato Marvel quindi deve porre nuove basi dopo un quinquennio circa di flop e lo fa con due personaggi amatissimi, ma tangenziali di quell’universo (storie di diritti tra Disney e Fox finite quando la prima ha comprato la seconda): Deadpool (Ryan Reynolds) deve “resuscitare” Wolverine (Hugh Jackman) per impedire che la linea temporale del suo mondo finisca distrutta.



La sceneggiatura scritta da Rhett Reese, Paul Wernick e Zeb Wells assieme a Reynolds e al regista Shawn Levy (anche produttori assieme al patron Kevin Feige) è ovviamente piena di complicazioni, mondi paralleli e incasinamenti vari, ma la questione più interessante, anche dal punto di vista teorico, è che i due eroi in disarmo devono affrontare un’organizzazione che vuole distruggere le linee temporali e vengono relegati in una sorta di discarica dei supereroi dimenticati e ribelli, in cui incontrano Blade, Elektra, Gambit, una versione sfortunata della Torcia umana e via dicendo.

L’obiettivo quindi, per dare nuovo lustro a un marchio e alle sue branchie, è quello di ripartire dalla simpatia per i dropout e gli emarginati, abbondare in sangue – seppure digitale – e volgarità, spalmare tutto di humour sopra ogni riga e inzeppare le sequenze di sbrodolate meta-linguistiche: il mix è piuttosto efficace e parecchio apprezzato, di certo sembra una boccata d’aria rispetto ai prodotti incerti, se non insulsi, degli ultimi anni, e di sicuro fa parte di una ben organizzata campagna marketing culminata con l’annuncio del ritorno di Robert Downey jr in casa Marvel, stavolta come Doctor Doom, il gran cattivo del nuovo corso.



Certo, è un film che mette a dura prova lo spettatore che vorrebbe semplicemente godersi un film, un’avventura: la ricerca spasmodica dell’ammiccamento con lo spettatore, le battute a volte riuscite, a volte forzate, il ritmo continuamente interrotto per fare spazio alla famigerata “rottura della quarta parete” rischiano di saturare dopo poco. E poi, Levy non è James Gunn, non ha il suo equilibrio miracoloso nel gestire demenzialità ed epica (il suo Suicide Squad è esemplare, in tal senso).

Se si supera questo, o magari si è più in sintonia con questo tipo di operazioni, e ci si accontenta dell’ottimo lavoro nel mescolare azione e musica anni ’80 (soprattutto Like a Prayer di Madonna in un combattimento che è un lungo e inventivo carrello laterale), Deadpool & Wolverine può divertire. Pensare però che dovrebbe essere l’ancora su cui centrare un nuovo universo filmico, ci rende abbastanza preoccupati.

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