Draghi va in conferenza stampa con Speranza, parla di “rischio ragionato” sulla base dei dati, che “sono in miglioramento”, e riapre l’Italia. Torna la zona gialla dal 26 aprile, con precedenza alle attività all’aperto, ristorazione pranzo e cena e alle scuole, che riaprono completamente in presenza nelle zone gialla e arancione. Resta il coprifuoco fino alle 22 come oggi. Ci si sposterà tra le regioni gialle e arancioni con un pass vaccinale, sul quale per ora non sono stati forniti ulteriori dettagli. Il 26 aprile è la prima tappa di un calendario di riaperture dove sono segnati il 15 maggio (piscine all’aperto), il 1° giugno (palestre) e il 1° luglio (fiere). “Se i comportamenti saranno corretti” dice il presidente del Consiglio “la probabilità che si debba tornare indietro sulle riaperture è molto bassa”.
“La decisione di riaprire implica un orientamento più vicino alle posizioni liberali che a quelle di sinistra” commenta Antonio Pilati, ex commissario dell’Agcom, esperto di comunicazione, saggista. Una riapertura necessaria, non più differibile, per Pilati, perché “siamo giunti sull’orlo del baratro economico-occupazionale”. Ma il virus non è sconfitto e servono “misure concrete di riduzione del rischio” sulle quali il governo dovrebbe attentamente riflettere per evitare una riapertura fragile.
Draghi riapre perché i dati lo consentono o perché non può più tenere chiuso?
A me pare evidente che siamo giunti sull’orlo del baratro economico-occupazionale. Si è approfondita la separazione tra due Italie: quella che ha lo stipendio garantito – l’amministrazione pubblica e le grandi imprese –, che in termini economici non ha risentito dell’emergenza sanitaria, e quella – fatta da tante piccole imprese e partite Iva – che ha visto letteralmente crollare la propria vita.
E questa seconda non ne può più.
Le manifestazioni di piazza ne sono un’ottima dimostrazione. La divisione tra le due Italie aggiunge al rischio economico per i settori più esposti il rischio della lacerazione sociale.
Non mi cita il rischio di ammalarsi.
Il Covid è stato un dramma, ma per una parte del paese la perdita della dignità civile e la fame sono oggi un’ipotesi ancora più concreta.
C’è un’opzione politica nelle ultime decisioni?
La decisione di riaprire implica un orientamento più vicino alle posizioni liberali che a quelle di sinistra e di estrema sinistra, che tendono a proteggere la parte garantita e a disinteressarsi, con una punta di disprezzo, di tutti gli autonomi, commercianti, partite Iva, “padroncini” e via dicendo.
Per quale motivo?
Perché non corrispondenti al modello economico della sinistra attuale. Il Pci aveva una grande attenzione per i ceti medi, scomparsi dall’orizzonte dei sui successori che, dopo il crollo dell’Urss e il terremoto di Mani Pulite, hanno scelto di diventare il punto di riferimento e i rappresentanti delle classi dirigenti.
Riaprire vuol dire esporsi al rischio di contagio. Nondimeno Draghi è fiducioso, ha parlato di “rischio ragionato”.
È evidente che lo sviluppo del virus è ancora preoccupante e non sembra del tutto sotto controllo. Il rischio c’è. Io credo che la ragionevolezza del rischio dipenda anche dalla capacità di fare alcune cose che al governo Conte 2 non sono mai venute in mente e che non sono state ancora affrontate dal governo Draghi.
Ad esempio?
I protocolli di cura domiciliare. Molti medici dicono che si può intervenire con gli antinfiammatori sotto controllo medico fin dal primo momento dell’infezione, anche prima del tampone. Su questo manca ancora una parola definitiva.
A chi tocca dirla?
Non tocca al governo redigere un protocollo medico, ma incoraggiare gli ordini dei medici a muoversi in questo senso, sì. Occorrono inoltre interventi per potenziare le strutture sanitarie. Non solo per il Covid: come ripete da tempo la Federazione oncologi cardiologi ematologi, presieduta dal prof. Cognetti, screening e terapie per quei malati hanno subito e gravi e pericolosissimi ritardi.
E poi?
Soprattutto se si riapre la scuola sono necessarie misure di potenziamento del trasporto pubblico. Mettere su strada un maggior numero di autobus impiegando anche i bus turistici, che sono fermi. A Roma è stato promosso un accordo con una cooperativa di radiotaxi per portare gli 80enni ai centri vaccinali. Buona idea, ma troppo limitata. Cosa impedisce di fare un serio bonus taxi?
Un suggerimento a Draghi?
Riaprire con cautela è un’ottima idea, ma va fatto adottando misure concrete di riduzione del rischio. Altrimenti ci sono giornali che titolano “I morti aumentano e loro pensano a riaprire”.
Draghi ha ripetuto di scommettere sul debito buono: “il percorso di rientro del deficit solo nel 2025 vedrà il 3%. È una scommessa sulla crescita: se sarà quella che ci attendiamo da questi provvedimenti, la vinciamo senza pensare neanche a una manovra correttiva”. Chi sono i nostri alleati su quella che il premier ha definito “legittimità del debito”?
I paesi del sud Europa, che hanno difficoltà economiche: Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. I problemi vengono dal nord Europa. Draghi ha buoni se non ottimi rapporti con Angela Merkel che sia pure in modi un po’ contorti ha sempre sostenuto le sue scelte di politica monetaria. Adesso però la situazione in Germania è più complessa: i bassi tassi di interesse hanno creato problemi a molti settori che ora enfatizzano, in modo strumentale, il possibile ritorno dell’inflazione. La vera incognita però è un’altra.
Il voto a settembre?
Sì. Saranno elezioni politiche molto incerte. Ed è molto difficile per Draghi adesso preventivare se la nuova cancelleria sarà per lui una sponda come lo è stata in passato.
Poi viene il blocco dei paesi frugali.
Impermeabili a tutte le concessioni e mai entusiasti di vivere in un’Eurozona in cui il debito aumenta il rischio per alcuni Stati. Berlino finora ha usato i paesi nordici per destreggiarsi fra strategie spesso contrastanti dei diversi Stati tenendo sotto controllo la Francia, altro paese atteso a breve da elezioni molto incerte.
La politica estera italiana vive una fase di movimento, dall’Europa alla Libia e alla Turchia, da ricondurre essenzialmente all’iniziativa del capo del governo. Siamo penalizzati o avvantaggiati?
Resto convinto che sia presto per dirlo. Draghi sfrutta la sua oggettiva reputazione e dunque la sua forza internazionale. Da un lato la sua azione si colloca sullo sfondo di una progressiva, crescente fragilità della costruzione europea che la pandemia ha reso drammatica, perché come tutte le emergenze richiede politica. E quando serve la politica, l’Ue mostra tutti i suoi difetti.
Draghi ha un rapporto privilegiato con gli Usa. Come incide?
Questo è l’altro aspetto. Oggi (ieri, ndr) su Repubblica il capo di BlackRock, il più grande fondo di investimento al mondo, ha dichiarato che Draghi è un amico. È la conferma che Draghi ha ottimi rapporti in America e può cercare di porsi come sponda europea per Washington, aumentando così il peso politico dell’Italia. Ma fino a un certo punto.
Cosa significa?
Tra gli interessi degli Stati Uniti c’è sicuramente quello di fare leva sulla disponibilità italiana, ma non è l’unico. Non credo per esempio che faranno scortesie alla Turchia, che resta necessaria agli Usa in Medio oriente e nel Mar Nero.
In Italia la Cina gode di ampie amicizie trasversali, esponenti politici che hanno condizionato il paese prima e durante la pandemia e che in parte sono rimasti al governo. In che misura possono ancora condizionarlo?
Credo molto scarsa. La Cina oggi non ha grande fascino ideologico e culturale. Ha però un forte fascino economico. Se è vero che vogliamo fare una politica che valorizzi la nostra efficacia in Europa con la sponda degli interessi americani, è ovvio che non possiamo dare spazio a persone che flirtano con gli interessi cinesi.
Draghi ha sottolineato la piena collegialità del governo, ma alla luce delle sue considerazioni da dove vengono le maggiori incognite? Dall’Europa, via Recovery, debito e vaccini? Dalla nostra ripresa? O dai partiti?
Dal fatto che oggi la ripresa economica ha come premessa indispensabile la messa sotto controllo del virus e i tempi in cui ciò avverrà sono ancora indefiniti.
(Federico Ferraù)
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