Secondo uno studio di S&P, i debiti sovrani degli Stati sarebbero a prova di rialzo dei tassi soprattutto se arrivassero in un contesto di crescita stabile. L’andamento dei tassi è uno degli indicatori più scrutinati dai mercati perché un eventuale rialzo potrebbe far cambiare lo scenario a cui si sono abituati da quasi un anno e mezzo. La risposta delle banche centrali alla crisi è stata quella di coprire l’aumento dei debiti statali e comprimere i tassi per sostenere le imprese alle prese con le conseguenze della pandemia e dei lockdown.



Per gli investitori è stato facile in questo contesto anticipare gli effetti della ripresa e comprare titoli di società che in realtà stanno ancora navigando in acque agitate; in questo modo i mercati finanziari sono rimasti al riparo dalle conseguenze economiche della pandemia. 

Il tema del giorno è l’aumento dell’inflazione e dei prezzi di un largo numero di beni; il problema speculare è appunto quello dei tassi perché lo strumento “principale” con cui contenere l’inflazione è il loro aumento. La certezza, nel frattempo, è che le banche centrali stiano continuando a sostenere i mercati e a supportare le condizioni finanziarie nonostante da settimane, con le riaperture, l’attività economica stia accelerando e nonostante da settimane l’inflazione si stia facendo sentire.



La premessa necessaria è che un rialzo dei tassi oggi avrebbe effetti molto più rilevanti che un anno fa semplicemente perché i debiti sono molto più alti; il trend di aumento dei debiti soprattutto pubblici è una costante dal 2008 e le eccezioni sono pochissime. 

È possibile che le banche centrali stiano, per prudenza, ritardando l’aumento dei tassi, rischiando di far correre un po’ troppo i prezzi, per non mettere sotto pressione il sistema finanziario ancora convalescente. Con l’aumento della velocità della ripresa, via riaperture, e l’aumento dell’inflazione le banche centrali si troveranno davanti all’inevitabile scelta per un rialzo dei tassi. Contro questo scenario giocano diversi fattori. Uno è l’aumento dei debiti, sia a livello statale che societario, che rende qualsiasi rialzo dei tassi più oneroso per il sistema. C’è ne è almeno un altro di cui si è occupato il New York Times un paio di giorni fa e cioè il crollo della natalità che è un’enorme spinta deflattiva e di “decrescita”. Oltretutto, seppure i segnali di riapertura sono evidenti, molti settori sono ancora chiusi o quasi; si pensi, per esempio, a quello del trasporto aereo con il traffico in Europa praticamente azzerato.



L’unica via per rendere facile la vita alle banche centrali è crescere aumentando consumatori e produttività. Il crollo della natalità è un tema a cui si aggiungono le restrizioni alle attività economiche con l’imposizione della transizione energetica che sostituisce fonti energetiche economiche e affidabili con altre costose e ancora inaffidabili. 

Gli articoli sempre più frequenti sulle valute digitali, necessarie per attuare politiche monetarie innovative e per gestire i tassi negativi, sembrano suggerire che lo scenario di un rialzo dei tassi è tanto probabile nel medio termine quanto quello opposto. All’orizzonte poi si scorgono enormi spinte deflazionistiche e di decrescita che le banche centrali sono “programmate” per combattere. Al cuore della questione c’è sempre una scelta politica perché lo scenario attuale produce comunque squilibri. 

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