Da diverso tempo i media sembrano non guardare più alla quotazione dei Credit default swap (Cds) sul debito italiano, che resta tuttavia l’indicatore migliore per misurare come i mercati valutano la sua sostenibilità nel tempo. Sui Cds a 5 e 10 anni i valori sono stati non solo in continua diminuzione dall’esito elettorale del 2022, ma si collocano ora ai livelli più bassi da prima della crisi dello spread del 2011. Ne desumiamo allora che il rischio default non sia mai stato così basso da allora. Osserviamo inoltre che lo spread Btp-Bund è rimasto un po’ indietro nella riduzione rispetto ai Cds e che se prossimamente dovesse recuperare questo gap la nostra finanza pubblica ne trarrebbe un non trascurabile giovamento. Ma vediamo in dettaglio.



I Cds sul debito pubblico italiano sono meno utilizzati rispetto allo spread Btp/Bund a 10 anni per valutare il rischio percepito dai mercati sul debito pubblico dell’Italia, tuttavia essi possono fornire interessanti informazioni complementari se non anticipatrici.

Mentre lo spread misura il differenziale di rendimento dei due titoli e dunque è di immediata comprensione, il prezzo dei Cds è meno intuitivo e va spiegato in relazione alle caratteristiche dello strumento. I Cds, riservati a investitori istituzionali, sono lo strumento col quale i possessori di titoli del debito pubblico si “assicurano” contro il rischio di perdere il capitale e le cedole periodiche a seguito di default. Col contratto di Cds il rischio insolvenza del debitore pubblico è trasferito dal detentore del titolo alla controparte del contratto in cambio di un premio periodico pagato per la copertura che andrà dunque a erodere il rendimento percepito dal detentore del titolo.



Le quotazioni dei Credit default swap e lo spread col Bund sono decisamente correlati, essendo entrambi movimentati dal rischio percepito dai mercati sul debito sovrano, anche se è difficile stabilire chi “anticipa” chi, causando il movimento simmetrico.

Di solito per Paesi ritenuti poco affidabili o turbolenti (come l’Italia, almeno in periodi in cui il debito è ritenuto a maggior rischio) i Cds anticipano i movimenti di prezzo sul mercato obbligazionario dei titoli di stato. Ci si “assicura”, rinunciando a una parte del rendimento, ma non si vendono i titoli per non rinunciare al rendimento (ritenuto nel nostri caso goloso) e per non avere perdite immediate in conto capitale.



Vediamo ora la dinamica dello spread Btp/Bund a 10 anni e di seguito quella dei CDS a 5 e poi a 10 anni.

Grafico 1 – Spread Btp/Bund a 10 anni (in punti base)

Lo spread Btp/Bund si è continuamente ridotto a partire dall’esito elettorale del 2022 ed è ora a un livello, circa 135 punti base, che è il più basso dell’ultimo decennio tranne due sottoperiodi: la prima parte del Governo Draghi, sino alla fine del 2021; il biennio 2015-16 posteriore alla doppia recessione del 2008-9 e 2011-14.

Entrambi questi periodi hanno tuttavia goduto di una politica monetaria della Bce espansiva, mentre quello attuale risente di una politica monetaria che è stata sinora restrittiva, con tassi reali mai visti in precedenza nell’euroarea, in particolare per l’Italia che ha il tasso di inflazione più basso tra i maggiori Paesi dell’Ue.

Se invece passiamo a esaminare la dinamica dei Cds a 5 anni, che copre l’orizzonte temporale del mandato del Governo in carica, vediamo anche in questo caso una continua riduzione a partire dall’ultima parte del 2012, dopo che le elezioni generarono una maggioranza politica netta, ma la loro quotazione attuale è la più bassa in assoluto da prima della crisi dello spread del 2011, risultando inferiore sia rispetto a tutto il periodo del Governo Draghi, sia al biennio 2015-2016 che aveva invece goduto di uno spread Btp/Bund inferiore all’attuale.

Grafico 2 – Cds a 5 anni sul debito pubblico italiano (in punti base)

Un valore in punti base in riduzione e così basso come quello corrente, inferiore anche al periodo del Governo Draghi, per i contratti che assicurano dal default dei titoli di stato italiano entro un orizzonte di 5 anni evidenzia che:

– il rischio percepito dai mercati sui titoli del debito pubblico italiano è in netto calo, e quindi assicurarsi dal rischio default costa sempre meno grazie alla stabilità economica percepita dai mercati;

– le scelte di politica economica e di finanza pubblica dell’Italia appaiono gradite dagli investitori internazionali e ritenute in grado di garantire la sostenibilità del nostro debito.

Quanto osservato sui Cds a 5 anni trova conferma anche sulla quotazione dei Cds a 10 anni, più bassa attualmente sia rispetto a tutto il periodo del Governo Draghi, seppur di poco, che al biennio 2015-16, in questo caso in maniera molto più marcata.

Grafico 3 – Cds a 10 anni sul debito pubblico italiano (in punti base)

Anche se il rendimento attuale dei nostri titoli non può essere considerato contenuto, è prevedibile in base al calo dei Cds che esso continuerà, incamerando gli effetti  della bassa inflazione e della riduzione dei tassi Bce e proseguendo la nostra economia nell’attuale traiettoria di discreta anche se non eccezionale crescita  e di corretta gestione della finanza pubblica.

Anche lo spread dovrebbe ridursi, se estrapoliamo dai suoi comportamenti passati in relazione alla dinamica dei Cds. Il grafico 4 mette infatti a confronto dal lontano 2011 a ora lo spread Btp/Bund sui titoli decennali con la quotazione dei Cds della medesima durata decennale.

Grafico 4 – Confronto tra Spread Btp/Bund e Cds a 10 anni (in punti base)

Quello che emerge è un andamento molto simile nel tempo delle due grandezze, con valori per gran parte del tempo simili se non identici. Solo in alcuni particolari periodi i valori delle due variabili si differenziano, creando una forbice:

– nella fase posteriore alla recessione del 2011-13, tra il II trimestre 2016 e le elezioni politiche del 2018, in un periodo di politica monetaria espansiva, lo spread resta stabilmente al di sotto del valore dei Cds;

– altrettanto si verifica, con una differenza molto meno accentuata, nel periodo dell’epidemia Covid, tra il II trimestre 2020 e la fine del 2022, in presenza di politica monetaria ancora espansiva per gran parte del periodo;

– solo dall’inizio del 2023 e sinora il valore del Cds si è attestato stabilmente al di sotto dello spread, in presenza di politica monetaria di segno restrittivo; la differenza è attualmente di circa 25 punti base, ma ha raggiunto anche punte superiori ai 40.

È probabile che questa forbice, considerando il recente cambio di segno della politica monetaria, l’inflazione totalmente sotto controllo e altre variabili macroeconomiche comunque positive, sia destinata a chiudersi nel breve termine, determinando un risparmio sugli oneri del debito per le prossime emissioni.

Ovviamente il risparmio, riferendosi alla nuove emissioni, risulterà inizialmente limitato, tuttavia se si potesse contare su una sua trasmissione a regime su tutto lo stock del debito, che ormai si avvicina ai 3 mila miliardi, un quarto di punto percentuale di minor spesa per interessi su tale stock corrisponderebbe a un risparmio annuo di circa 7,5 miliardi.

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