La dinamica del crescente debito pubblico negli anni è dipesa da quella che possiamo definire la gestione caratteristica di entrate/spese che ha dato luogo a spese correnti e spese per investimento, quest’ultime in modo decrescente; d’altro canto, essendo il Paese in un contesto globale, ha risentito delle variazioni monetarie della finanza che per effetti manipolativi ha contribuito con la gestione finanziaria subita ad aumentare il debito pubblico e gli interessi sullo stesso.
Per avere un’idea dell’effetto di questa seconda leva è utile vedere nei periodi storici i maggiori volumi di crescita dovuti all’indebitamento indotto dalla finanza globale sulla quale non abbiamo margini di manovra.
Partendo dal dopoguerra, la ricostruzione del Paese è stata sostenuta da una crescita del Pil che è arrivata fino a punte del 10%; la lira era stabile e il rapporto con un dollaro era di 625/630 lire, il debito sul Pil era al 35% ed il debito era inferiore ai 40.000 miliardi di lire. La crescita era costante in tutti i settori e non vi era la percezione di particolari gravità. Ma nel 1971, con la fine del gold exchange standard decretata dagli Usa, si creò una tempesta finanziaria per mantenere la valuta dollaro come moneta di scambio globale – a questo scopo va correlata l’invenzione del petrodollaro e quella dello Swift – e noi abbiamo dovuto cominciare a fare i conti con un potere esterno non governabile.
La lira si è svalutata e a partire dalla metà degli anni Settanta il sistema finanziario ha cominciato a erodere i conti della formica (allora) Italia, creando un progressivo aumento del debito per volumi e per interessi che dai 43.000 miliardi di lire del 1971 (47% del Pil) è passato ai 504.000 del 1985 e ai 1.200 del 1996 (120% del Pil) in prossimità dell’entrata nell’euro.
Nei primi anni Novanta la speculazione di Soros sulla lira ha aperto un altro trauma nel debito pubblico mostrando la debolezza del Paese. In sostanza, in poco più di venti anni il debito è cresciuto di 1.000 miliardi di lire in gran parte per effetto della manipolazione finanziaria e in misura minore per accomodanti politiche di welfare che ha contribuito all’aumento delle spese correnti. Di fatto l’Italia è stata oggetto di una destabilizzazione finanziaria che non ha avuto pari negli altri Paesi europei delle stesse dimensioni al punto da dovere ricorrere alle privatizzazioni che forse erano in parte un obiettivo della finanza.
A fronte di una maggiore stabilità nel nuovo secolo dovuta al crollo dell’Impero sovietico, la dinamica della spesa è stata contenuta fino al 2007, anno in cui il debito su Pil arrivava al 99,7%. Poi è arrivata la bolla finanziaria di Lehman che non ha toccato particolarmente il Paese in modo disastroso com’era stato nei decenni precedenti. Ma dopo è cominciato l’attacco all’euro e all’Italia nel 2011 che ha spinto il debito da 1.830 miliardi di euro del 2010 ai 2.203 del 2015 e così il debito su Pil è arrivato al 133,6%: ancora una volta siamo vittime della finanza non regolamentata. Il debito aumenta in volume e per effetto degli interessi passivi che superano il 12%. Il resto lo fa il Covid che colpisce tutti e la finanza rimane in attesa di tempi migliori per non aggravare una situazione estremamente instabile, per questo il rating del Paese non è stato toccato.
In conclusione possiamo verificare che oltre il 40% del debito che abbiamo accumulato è effetto di una sistematica manipolazione finanziaria che in ben precisi periodi temporali ha giocato sulla nostra pelle, ma questa responsabilità può essere giudicata e portata all’altare della Bce per provare a chiedere un’attenzione sui danni provocati? È possibile la cancellazione del debito detenuto dalla Bce per effetto della manipolazione finanziaria?
L’idea controversa è stata rilanciata da diversi commentatori ossia cancellare il debito pubblico detenuto dalle banche centrali, non quello dei risparmiatori, a seguito di una finanza non controllata e dal Qe con un patto tra gli Stati membri dell’Eurozona che si dovrebbero impegnare a reinvestire la stessa quantità nei cambiamenti richiesti dalla disciplina europea che al momento in presenza di tale situazione debitoria sono irrealizzabili. Forse è politicamente di difficile attuazione ma non tecnicamente e forse sarebbe uno stimolo nuovo che cancella, in parte, gli enormi errori e manipolazioni del recente passato. È possibile aprire il confronto?
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