Il debito pubblico è un macigno che grava sul futuro dei giovani, anche quello previdenziale. A lanciare l’allarme è Alessandro Rosina, demografo e professore all’Università Cattolica di Milano, il quale alla Stampa definisce il debito un’ingiustizia generazionale che, quando raggiunge livelli alti, causa una rottura del patto generazionale. Oltre a indebolire la capacità di creare ricchezza, il debito rende instabile il sistema paese e più in generale provoca uno svantaggio competitivo con le altre economie. Il problema si aggrava, secondo Rosina, se la crescita del debito pubblico fino a livelli record non è accompagnata da una spesa sociale focalizzata a migliorare le condizioni dei giovani.



Basta guardare com’è cambiata l’Italia rispetto alla metà degli anni ’70, quando il debito era circa la metà del Pil: il demografo ricorda che il numero medio di figli per donna era superiore a due, l’età media in cui i giovani si rendevano autonomi rispetto alla propria famiglia ed entravano nella vita adulta era in linea con quella europea. Tutto ciò non si riscontra ora, infatti si registrano valori «anomali» secondo Rosina, il quale segnala che il debito pubblico ha superato il Pil, la popolazione è invecchiata al punto tale che l’Italia è il primo paese al mondo in cui ci sono più over 65 che under 15, c’è l’emergenza denatalità, l’indipendenza dei giovani è la più rinviata in Occidente.



GIOVANI IN FUGA PER DEBITO RECORD: ITALIA RESTERÀ SOLO CON GLI ANZIANI?

La fotografia scattata da Alessandro Rosina sulle colonne della Stampa è impietosa e preoccupante, perché anziché investire nei giovani è aumentato il peso del debito e lo abbiamo reso un freno per le nuove generazioni, visto che è stata ridotta la capacità di crescita economica e sostenibilità del sistema dei servizi. Secondo il demografo, scarsi sono stati gli investimenti pubblici in diversi ambiti, citando ad esempio «formazione, ricerca e sviluppo, politiche attive del lavoro, strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia». Oltre ad avere un debito pubblico che grava, i giovani si ritrovano con una scolarizzazione terziaria più bassa rispetto ai coetanei del resto d’Europa, ma hanno anche livelli di occupazione minori, così come più basse sono le retribuzioni, mentre il rischio di essere lavoratori poveri è più alto.



Tutto ciò li spinge a rivedere al ribasso i loro progetti di vita. Visto che la politica poco ha fatto per risolvere il problema del debito pubblico, che a cascata ne crea altri, i giovani hanno trovato la soluzione trasferendosi all’estero. Il problema, però, è che in Italia nel 2050 rischiamo di trovarci senza la fascia dai 25 ai 50 anni: forza lavoro bassa, senza nascite perché mancherebbero i potenziali genitori, un vuoto pericoloso che neppure gli immigrati potrebbero colmare, anche perché l’Italia non sarebbe neppure appetibile. Uno «scenario distopico» a cui però l’Italia rischia seriamente di avvicinarsi, secondo il demografo, se non si ricostruisce il patto generazionale.