Quale potrebbe, o dovrebbe, essere la via della ripresa dopo l’emergenza sanitaria? E quali dovrebbero, o potrebbero, essere le nuove regole europee per facilitarla quando verrà messa fine alla “sospensione del Patto di stabilità e crescita” e del “regime transitorio per gli aiuti di Stato”?
In questa calda estate 2021 il dibattito è intenso a livello sia accademico, sia politico. Ad animarlo, tra gli studiosi, è la pubblicazione, a cura della Bocconi University Press, del libro di Marcello Messori Recovery pathways. The difficult Italian convergence in the Euro area che è oggetto di numerosi seminari. Sul piano politico, l’aspetto nuovo è “L’Appello per il futuro dell’Europa“, una carta dei valori sottoscritta il 2 luglio dalle forze politiche che fanno parte di tre gruppi diversi nel Parlamento Ue, ovvero “Identità e democrazia” (Id) e “Conservatori” (Ecr), più Fidesz che ha lasciato il Ppe e fa parte dei non iscritti. Hanno siglato il documento: Lega (Italia) – RN (Francia) – FPOE (Austria) – Vlaams Belang (Belgio) – DPP (Danimarca) – Ekre (Estonia) – PS (Finlandia) ECR – PiS (Polonia) – VoX (Spagna) – FdI (Italia) – JA21 (Paesi Bassi) – EL (Grecia) – PNT-CD (Romania) – LLRA-KSS (Lituania) – VMRO (Bulgaria) -Fidesz (Ungheria).
C’è un nesso importante tra due aspetti profondamente differenti: le recovery pathways, infatti, dovranno essere discusse e approvate anche da un gruppo politico che rappresenta una voce differente, e spesso, divergente nel panorama consueto dell’europeismo e che, unito, conta non poco nel Parlamento europeo, nonché nei Parlamenti nazionali.
Un lavoro appena pubblicato dall’ufficio ricerche economiche del Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e delle Finanze (COVID-19 e Unione Europea. Le implicazioni della crisi pandemica sul coordinamento delle politiche economiche a livello UE a cura di: A. Cataldi, M. De Crescenzo, G. Di Domenico, B. Giannini NT n.1/2020) documenta che “il fatto stesso che si sia arrivati a concepire strumenti di solidarietà basati su debito comune europeo, come nel caso del pacchetto Next Generation Eu e relativa European Recovery and Resilience Facility, rappresenta un passo avanti, di carattere multidimensionale, nel processo di coordinamento delle politiche economiche, fiscali e di investimento. In tal senso, le basi sono state poste: l’azione di politica monetaria è stata ampia e veloce; come pure il supporto della Bei per il tessuto industriale; lo Sure andrà auspicabilmente a sostenere i Paesi più colpiti e con maggiore costo del debito e può rappresentare un embrione per un meccanismo permanente di employment reinsurance; infine la NG-EU, attraverso un riconoscimento di interesse comune, potrebbe costituire un possibile presupposto per una fiscalità europea, anche rafforzando le risorse proprie. Resta appunto la sfida di rendere strutturali queste innovazioni così da garantire in futuro una risposta coordinata, coerente e il più possibile efficace e tempestiva”.
La domanda è se questa “risposta coordinata, coerente e il più possibile efficace e tempestiva” ci sarà quando dovranno essere formulate, predisposte e messe in atto le nuove per la finanza pubblica, il debito e gli aiuti di Stato.
Sinora il dibattito è stato dominato da variazioni sul tema “federalista” di una ever closer Union (un’unione sempre più stretta), nonostante le variazioni fossero molto sostanziali, non solo verbali, specialmente nei decenni in cui ha fatto parte dell’Ue la Gran Bretagna che non ha mai rinunciato né all’assoluta sovranità di Westminster, né a una partnership speciale con gli Stati Uniti. Nella stessa ottica federalista, veniva accettata un’Europa a due velocità, in cui dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso “l’unione monetaria” avrebbe rappresentato il gruppo di punta.
Ora a questa “dottrina dominante” federalista, si contrappone una visione che, per molti aspetti, ricorda quella Europe des Patries di Charles De Gaulle in cui si afferma a gran voce che i limiti delle competenze dell’Unione sono fissati dal principio di attribuzione – tutte le competenze non conferite all’Unione appartengono agli Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Queste due visioni si contrapporranno apertamente quando nel 2022 si dovranno negoziare le nuove regole per la finanza pubblica, il debito e gli aiuti di Stato. Ciò non è necessariamente un male perché sinora la contrapposizione c’è stata, ma è in gran misura celata o quanto meno felpata. È meglio un dibattito allo scoperto con tesi chiaramente articolate e contrapposte in modo che, in ultima istanza, saranno gli elettori (ossia gli europei) a giudicare.
Difficile anticipare ora le posizioni e prevedere cosa uscirà dal dibattito. È probabile che ci saranno regole differenti da quelle che richiedevano un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni non superiore al 3% del Pil e un rapporto tra debito e Pil non superiore al 60%. Due parametri grossolani che nel 1996-97 vennero proposti dalle delegazioni del Benelux perché corrispondevano alle media aritmetiche della situazione degli Stati che avrebbero presumibilmente fatto parte dell’area dell’euro. È anche probabile che ci sarà accordo su una formulazione differente delle regole sugli aiuti di Stato per equilibrare l’espansione della sfera pubblica causata dalla pandemia e l’esigenza del buon funzionamento del mercato unico.
Il nodo principale sarà il trattamento del debito delle pubbliche amministrazioni, che in Italia viaggia verso il 170% del Pil e regge principalmente, ove non unicamente, grazie al programma di acquisti della Banca centrale europea. È probabile un dibattito intenso tra i due schieramenti su come trattare il Legacy Debt, ossia il debito da imputarsi direttamente alla pandemia.
Oscar Wilde amava dire che è difficile fare previsioni se riguardano il futuro. Non è certo che i federalisti siano più propensi a una soluzione solidale per il Legacy Debt di quanto non saranno gli eredi dell’Europe des Patries.
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