Le persone “debolmente positive” al coronavirus non infettano. La conferma arriva da un nuovo studio del San Matteo di Pavia, secondo cui queste persone, che hanno superato già la malattia, nella grande maggioranza dei casi non sono contagiose. Lo studio, presentato in una conferenza stampa a Palazzo Lombardia dal responsabile di virologia dell’Irccs San Matteo di Pavia, Fabio Baldanti, è stato portato avanti con l’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, oltre all’ospedale civile di Piacenza, all’ospedale universitario Le Scotte di Siena e al Policlinico di Milano. I ricercatori hanno preso i campioni di 280 persone clinicamente guarite che avevano cariche basse di Sars-CoV-2 e li hanno messi in coltura. Il segnale di sopravvivenza del virus, quindi di infettività, era inferiore al 3 per cento. «Questo significa che in fase di risoluzione della sintomatologia il virus è principalmente non infettante», ha spiegato Baldanti, come riportato dal Corriere della Sera.



LO STUDIO ITALIANO SUI DEBOLMENTE POSITIVI

Dai risultati di questo studio è emerso, quindi, che solo il 3 per cento dei 280 pazienti ha avuto la possibilità di infettare. Alla conferenza stampa è intervenuto anche il direttore della Fondazione Mario Negri, il professor Giuseppe Remuzzi, che già si era espresso su questo aspetto. «I tamponi che facciamo ora hanno una quantità virale così bassa, che il virus è incapace di infettare le cellule». In questa fase dell’epidemia di Covid-19, dunque, per Remuzzi non è più sufficiente dire solo se un tampone è positivo, ma anche quanto positivo. «Si parla di tamponi positivi con una carica virale bassissima che può benissimo non essere contagiosa», ha aggiunto Remuzzi. Quindi, nel comunicare i dati ora bisogna quantificare i tamponi in rapporto alla fase in cui ci troviamo. «Se si dice che in Lombardia c’è l’80% dei contagi bisogna anche dire che si tratta di positivi con una carica bassissima, con ogni probabilità non contagiosi». Ma questo ovviamente non vuol dire abbandonare le norme di prevenzione, visto che proprio queste ci hanno permesso di rendere il coronavirus meno forte.

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