Chissà se quell’uomo violento, aveva mai preso in braccio la figlia. Chissà se quell’uomo che, quando la moglie allattava la figlia la prendeva a calci nella schiena, aveva mai preso la mano nella sua, l’aveva mai accompagnata a scuola, ai giardinetti, spinta sull’altalena. “Era un uomo sempre nervoso, mischiava alcol, droghe e calmanti. Si arrabbiava per niente” dice la nonna. Prendeva calmanti, evidentemente era consapevole del male che faceva, ma non riusciva a fermarsi. Tornava a casa quasi ogni giorno all’alba completamente ubriaco, e metteva le mani addosso a chiunque avesse davanti. Anche quella mattina che era rincasato alle 5, l’alcol aveva scatenato la sua rabbia immane, quella rabbia che portava dentro da sempre, chissà perché. Forse perché da bambino aveva subito la stessa sorte.Quella mattina si era messo a picchiare la zia, la nonna e la madre, e anche lei, Deborah, 19 anni, come aveva fatto tante volte in passato. Quando ha messo le mani al collo della madre,la voleva sicuramente strozzare. Deborah ha preso un coltello e l’ha colpito alla nuca. Quando l’ha visto steso in una pozza di sangue sul pavimento lo ha stretto tra le sue braccia e ha mormorato “non mi lasciare ti voglio bene”. Si può amare un padre così? Evidentemente sì. “Non doveva morire” dice agli inquirenti. Prima di colpire gli aveva urlato più volte “papà fermati non fare più niente”. Si può chiamare papà un uomo così? Evidentemente sì. Una vita di inferno quella di Deborah, 19 anni passati nell’orrore quotidiano, eppure “papà ti voglio bene”. Il parricidio sin dai tempi degli antichi romani, è sempre stato considerato una colpa mostruosa punibile in modo altrettanto mostruoso, con lo scopo di espellere il colpevole dal consenso sociale ed evitare che contamini la comunità. L’uccisione del padre padrone da parte di figli privi di qualunque autonomia, sottoposti a qualunque abuso, avviene ancora oggi.
Che il parricida venga punito in maniera terribile rappresenta la paura che una società fondata sullo strapotere del padre padrone possa venir messa in crisi, ribaltata. Il caso di Deborah appare però come un tentativo di legittima difesa e così l’hanno sentenziato i giudici che l’hanno rimessa in libertà dopo tre giorni. Ma la domanda vera, a parte gli aspetti legali, è una: cosa permette a una figlia che è stata massacrata per tutta la vita dal padre, dire a quell’uomo papà ti voglio bene, non andartene? Un legame ancora più forte del male, che si insinua in modo misterioso nella vita delle persone. Ha scritto Il Messaggero, quotidiano romano: “ È incredula Deborah quando le comunicano che il padre, Lorenzo Sciacquatori, 41 anni, non c’è più. «Sono distrutta, adesso non mi importa di niente». Sono attimi terribili. La 19enne sbarra gli occhi. In quel momento le dicono che è formalmente accusata di omicidio. Un atto dovuto, mentre la procura valuta di derubricare l’imputazione, forse verso una legittima difesa. Alla ragazza, però, la sua sorte giudiziaria, in quel momento sembra interessare veramente poco. Il volto cambia di espressione mentre Deborah si porta le mani sui capelli. Accanto a lei il suo avvocato, Sara Proietti, cerca di consolarla. Il suo non è un tentativo di difendersi quando spiega «io non volevo». È solo atterrita per aver causato la morte, involontaria, del padre per proteggere se stessa, la zia, la nonna e la madre dalla furia del genitore”.Qualunque male, anche il più orribile, non può soffocare il bene. Che Deborah adesso trovi persone che le facciano capire che nonostante tutto è stata voluta bene. E che lei ci ha insegnato che il bene è più grande dell’aver ucciso suo padre.