“Avevo una vita da sogno fino al giorno precedente” aveva scritto in un post su Facebook di fine settembre Deborah Vanini ricordando il fatidico momento in cui scoprì contemporaneamente di essere incinta e di avere un tumore al quarto stadio. “Dalla notizia più bella alla più brutta in 25 secondi netti”: così aveva ricordato quel momento cruciale annunciando la nascita di Megan avvenuta lo scorso 18 settembre. Le era parso importante mettere in luce quell’inizio tormentato, carico di ansie e paure, ma anche di tanta passione e del coraggio che l’hanno portata ad accogliere la vita che palpitava in lei anche a costo di mettere a repentaglio la propria.



È morta in questi giorni Deborah Vanini, 38 anni, di Como, che – come aveva raccontato – si è lasciata alle spalle la “vita da sogno” per affrontare con libertà quel che le stava accadendo e per attraversare il dramma di una decisione tormentata. “Scelte più grandi di noi, sulla vita che avevamo creato… siamo stati davanti alla scelta più difficile al mondo per un genitore, decidere per la vita o meno dei propri figli”. Rivela così di aver infranto la barriera che spesso sembra separare i desideri dalla realtà che a volte si rivela dura, ostile, nemica delle aspirazioni più radicate e irrinunciabili, nemica di un futuro immaginato e disegnato con contorni che gli eventi reali disattendono e cancellano. Non è stato facile abbattere il muro di contraddizioni e fatiche che soffocano la speranza, che sembrano impedire ogni bagliore di luce: Deborah non sorvola su “mesi e mesi di esami, giorni in ospedale, visite estenuanti e dolorose… Ho pianto notti intere per la paura, per la tensione, per i dubbi” ammette rivelando tuttavia la sorpresa di una positività che prorompeva anche fra tante difficoltà e contraddizioni. Affiorano così, nel suo rapido racconto, i volti di alcuni medici e di persone care che alimentavano un sentimento di attesa e di sorpresa per quanto le stava accadendo. In una condizione di rischi sempre incalcolabili la speranza è diventata tangibile, come ha scritto lei stessa nel post: “Il primo vero miracolo, nonostante tutto, comunque è avvenuto il 18.09.24, alle 12.15. Si chiama Megan, nata a 35 settimane e pesa 1,9 Kg”.



Deborah è morta qualche giorno fa, avendo rinunciato alle terapie che avrebbero potuto salvarla solo sacrificando la vita di sua figlia. Una decisione coraggiosa e sofferta, maturata nella certezza di aver imboccato la strada giusta, la strada dell’amore fino al dono di sé.

Colpisce in questa storia così distante dalle cupe pretese di possesso, di arbitrio sulla vita nascente, l’umanità di una donna che ha preferito dilatare lo sguardo, la ragione e il cuore, per lanciarsi nella battaglia dell’esistenza così com’ è, come si affaccia nei giorni, intricata di problemi, di travagli e sfide che sollecitano il desiderio di andare oltre le misure anguste dei propri calcoli per affermare un bene più grande, per riconoscere un legame indissolubile, eterno, oltre il buio e il dolore che la vita può riservare.



Molti, anche sui social, hanno espresso sentimenti di ammirazione e di speranza che vincono il cinismo spesso prevalente. Una speranza documentata, ancora una volta, nella “vicenda reale” che lascia trasparire momenti lieti, pur in una circostanza tanto dolorosa. Deborah ha sperimentato il compimento di una promessa, pur in un tempo breve, considerando un grande dono aver conosciuto sua figlia e condiviso la gioia della sua nascita con il suo compagno. “Un miracolo per me che non credo – aveva scritto Deborah pensando alla sua bambina – Forse tu non lo sai ancora, ma mi hai letteralmente salvato la vita”.

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