Il Decameron di Boccaccio torna d’attualità, se così si può dire, con l’epidemia di Coronavirus. Gli aspetti sono molti, anche socio-economici: come nel Trecento i ricchi potevano rifugiarsi in una villa di campagna per isolarsi dal contagio della Peste Nera, così anche oggi chi sta meglio può difendersi meglio dal Coronavirus – fosse anche solo perché ha maggiori possibilità di svolgere un lavoro fattibile pure tramite smart working – tanto è vero che da più parti è stato lanciato l’allarme su poveri e minoranze etniche maggiormente a rischio anche per Covid-19.



Nulla di nuovo insomma, come sottolinea la professoressa Kathryn McKinley in un articolo per The Conversation che si rifà appunto a un capolavoro della letteratura italiana: il Decameron, sia pure opera di fantasia, è fonte di informazioni molto preziosa sulla vita durante la Peste Nera e in generale nel XIV secolo.



Bocciaccio descrive la quarantena dei ricchi, che nelle loro case si potevano godere cibo, buon vino, musica e altri divertimenti mentre la peste faceva davvero strage – almeno un terzo della popolazione morì, nelle zone più colpite anche il 50%. I più ricchi poi potevano ritirarsi nelle loro residenze di campagna, come fecero appunto i dieci giovani narratori protagonisti del Decameron, ove protagonisti spesso sono mercanti, borghesi o addirittura popolani, una rarità per la letteratura del tempo.

IL DECAMERON, IL CORONAVIRUS E I RICCHI DI FRONTE A UNA PANDEMIA

La vita era logicamente molto diversa per tutti coloro che invece non potevano lasciare le città – a partire proprio dai popolani pur protagonisti dell’opera -, epicentri dell’epidemia con le loro condizioni igieniche come minimo precarie, considerate naturalmente anche le limitate conoscenze scientifiche dell’epoca. Anche nelle campagne comunque la situazione non era migliore per i contadini, che spesso morivano come bestie e senza nemmeno un dottore ad assisterli.



Le 100 novelle sono uno spaccato della società dell’epoca con tutte le sue contraddizioni e bisogna ammettere che spesso non vi è spazio per la compassione verso chi soffre, bensì dominano l’indifferenza alla pena degli altri a causa delle ambizioni e dei desideri individuali.

Si può dunque trarre una domanda, sostiene McKinley: come i ricchi si rapportano ai poveri in periodi di sofferenza diffusa? Qual è il valore di una vita? Domanda che vale naturalmente anche oggi, durante una pandemia che ha ucciso molte persone, ma rischia di renderne povere molte di più.