Ieri il Governo ha deciso di prorogare alcune misure contro il caro energia confermando, tra le altre cose, i crediti di imposta e la riduzione delle accise su benzina, gasolio e gpl. Un Esecutivo che ha dichiarato di voler adottare una politica fiscale prudente decide di prorogare gli aiuti in un contesto in cui i prezzi del gas sono almeno cinque volte più alti di due anni fa. Queste misure non risolvono la crisi energetica, ma sono necessarie per evitare che i rincari mettano a rischio la pace sociale.



I rincari dei costi energetici e, più in generale, l’inflazione si traducono dal punto di vista mediatico in numeri che danno una visione fuorviante dei problemi. Il costo delle utenze è una delle voci meno incomprimibili in un bilancio famigliare esattamente come quelle per gli alimentari. Significa che l’inflazione percepita varia enormemente a seconda di quale sia la fascia di reddito; più si scende, più l’inflazione subita, la riduzione del potere d’acquisto e la perdita dei margini di risparmio si aggravano.



Negli stessi mesi in cui le utenze esplodono, altre componenti del paniere, per esempio l’elettronica, si sgonfiano, ma la media è un modo di descrivere la realtà che non ha particolarmente senso. L’incremento della spesa per gas ed elettricità o per la benzina che si usa per andare al lavoro mangia la quota di reddito che sarebbe stata destinata ai beni discrezionali; nel paniere delle famiglie a basso reddito questi semplicemente scompaiono anche se i loro prezzi diminuissero del 20%. Il -20%, supponiamo, non fa media con i rincari delle bollette.

Gli interventi di sostegno alle famiglie meno abbienti, dal punto di vista politico, sono necessari e vengono prima di ogni altra cosa per una questione sociale. In loro assenza è la pace sociale a essere minacciata. Gli interventi di ieri, che includono la possibilità di pagare in 48 rate o l’estensione della soglia per i bonus esentasse a 3.000 euro, si inseriscono in questo quadro. Sono interventi da cui non si può prescindere perché nessun Governo potrebbe sopravvivere senza. Allo stesso modo non risolvono niente dal punto di vista industriale o di sistema. Ieri l’Amministratore delegato di Eni ha ribadito che il prossimo inverno sarà più complicato di quello in corso perché per almeno la metà del 2022 le forniture russe sono continuate. Questo significa che senza una soluzione “fisica” che passi o dall’aumento delle forniture o da una riduzione forzata dei consumi il costo degli interventi di calmierazione è destinato ad aumentare. Più il deficit fisico si aggrava, più salgono i prezzi, maggiori sono le risorse necessarie per coprire la differenza; oppure, in alternativa, maggiore è il prezzo che le industrie devono pagare, in termini di razionamenti, per quadrare le forniture di gas con i consumi.



Lo “sblocca trivelle” non è un intervento di sistema, ha molti vincoli, e non dà il via a una campagna in grande stile; può ottenere, per come è stato concepito, qualche miliardo di metri cubi di gas all’anno rispetto ai 30 miliardi persi a causa delle sanzioni. L’Italia, quindi, dovrebbe tornare protagonista nel Mediterraneo e ampliare la capacità di rigassificazione e di stoccaggio. Non sono interventi facili perché si scontrano con opposizioni locali e, fuori dai confini, con una situazione complicatissima sia per la competizione tra Stati europei, sia perché nel Mediterraneo c’è la Russia e soprattutto la Turchia che ha fame di idrocarburi e ha preso il posto dell’Italia in Libia.

Gli interventi di ieri sono una tappa obbligata; nessun Governo si sarebbe potuto esimere. La partita vera però è un’altra e la sfida è quella di garantire al sistema forniture affidabili ed economiche con cui salvare le imprese che da decenni danno la possibilità a decine di milioni di italiani, nonostante una spesa pubblica fuori controllo, di avere uno stile di vita da “primo mondo”. Se questo obiettivo non viene raggiunto alla fine diventerà impossibile mettere “toppe” per quanto necessarie.

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