Il nuovo reato introdotto dal Governo con il decreto de 31 ottobre 2022 per arginare il fenomeno dei rave party ha sollevato rimostranze da parte di (quasi) tutti, giuristi compresi.
Certamente intempestiva è stata la scelta di utilizzare lo strumento del decreto legge a cui si ricorre non sulla base della pressione mediatica o politica del momento, ma in casi straordinari di necessità e urgenza. In realtà non c’era nessuna fretta di approvare una nuova legge: il rave party di Modena si era (pacificamente) concluso e si poteva tranquillamente investire del problema sicurezza il Parlamento, organo deputato a legiferare.
Il nuovo articolo 434 bis inizia con una insolita definizione (caso forse unico per il nostro codice penale), che così recita: “l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
L’obiettivo dei redattori della norma era forse quello di cercare di arginare manifestazioni incontrollate e incontrollabili con protagonisti soggetti facinorosi e violenti, magari muniti di armi proprie o improprie, che mettono a repentaglio non solo la salvaguardia della proprietà privata e dei beni pubblici, ma anche l’incolumità delle persone, compresi i partecipanti ai raduni.
In realtà il testo partorito dall’esecutivo è lacunoso e pone mille dubbi interpretativi. E comunque non sembra utile per raggiungere l’obiettivo prefissato: arginare i rave party e scoraggiare i partecipanti, ritenuti nullafacenti dediti all’abuso di alcolici e stupefacenti, dal radunarsi sul territorio nazionale.
Come poter, infatti, in via preventiva valutare come e quando giovani, seppur sfaccendati e dediti all’abuso di sostanze, che invadono capannoni abbandonati e si riversano in aree semideserte, possono creare pericolo per l’ordine, l’incolumità e la salute pubblica? E soprattutto, come non preoccuparsi che questa norma, che stando alla definizione, vale in realtà non solo per i rave party, ma anche per ogni tipo di assembramento, non costituisca un’indebita limitazione del diritto di riunione sancito dall’articolo 17 della Costituzione? Chi farà questa valutazione di potenziale pericolosità e in base a quali parametri? Non si corre il rischio concreto che ogni forma di ritrovo possa determinare denunce a carico dei partecipanti, perché potenzialmente suscettibile di essere un assembramento pericoloso?
Inoltre assolutamente sproporzionata è la pena massima prevista dalla nuova norma: addirittura sei anni di carcere per capi e organizzatori delle manifestazioni e ciò al sol fine, è stato giustamente rilevato, di consentire le intercettazioni telefoniche, strumento estremamente invasivo e lesivo della privacy, pensato solo per contrastare i delitti più gravi.
Detto questo, non si possono condividere i rilievi di chi dice che le turbative della proprietà privata e pubblica da parte dei partecipanti a raduni quali i rave party è già sanzionata da altra norma del codice penale e precisamente dall’articolo 633, che punisce chi invade arbitrariamente terreni ed edifici. Basti aprire un qualsiasi motore di ricerca giuridico per rilevare che quasi mai è intervenuta la condanna per quel reato di giovani partecipanti a raduni festaioli. Si tratta infatti di norma che richiede la dimostrazione di aver ricavato un profitto dall’occupazione ed è utilizzata quasi esclusivamente per contrastare il fenomeno dell’occupazione abusiva delle abitazioni (per lo più delle case popolari), mentre sempre assolti, giustamente, in nome del diritto di manifestare a difesa dei propri diritti, sono risultati gli studenti che occupano l’aula magna e i lavoratori che fanno i presidi in fabbrica.
Insomma, se si vuole pensare a una norma che punisca penalmente coloro che si radunano in luoghi pubblici senza il necessario preavviso alle autorità, entrando nelle proprietà altrui per organizzare feste magari a base non solo di musica, ma anche di alcool e droga, si modifichi l’articolo 633 del codice penale. Possono bastare pochi aggiustamenti chiari, circoscritti e non sproporzionati, che non mettano in pericolo la libertà di espressione e i diritti fondamentali dei cittadini perbene, che devono poter continuare a riunirsi, manifestare e protestare senza correre il rischio di essere denunciati.
E comunque non è la repressione e neppure un percorso penale che aiuterà a recuperare alla società civile quei giovani che vivono ai confini tra legalità e illegalità o che abusano di sostanze, ma una proposta educativa e culturale che li affascini e coinvolga. E questo è compito di tutti, non delegabile all’esecutivo di turno.
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