Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto attuativo di una legge lungamente attesa: la riforma dell’assistenza agli anziani. Il passaggio dai principi generali ai criteri operativi è il banco di prova che tutti aspettavamo, per capire concretamente come si declineranno da ora in avanti i diritti delle persone anziane non solo in chiave sanitaria, ma all’interno di una logica più ampia che include la pluralità dei loro bisogni in fatto di assistenza. Il decreto stanzia un miliardo di euro per avviare la riforma, cominciando col riordinare una serie di prestazioni finora frammentate, rispetto alle quali molti anziani non riuscivano ad orientarsi correttamente, per cui nei fatti rinunciavano a benefici che rappresentavano veri e propri diritti. La legge, e di conseguenza il decreto, si collocano nella prospettiva del PNRR, che prevede uno spostamento dell’asse sociosanitario in chiave territoriale, per cui si tratta di un provvedimento con cui si garantirà agli anziani il diritto di poter continuare a curarsi in casa propria, facendo delle cure domiciliari il cuore del progetto.



In altri termini, si parte dalla famiglia valorizzando l’habitat naturale di ogni anziano, ma questo presuppone che gli anziani abbiano alle spalle una famiglia sufficientemente unita e disponibile a farsi carico di loro; una famiglia da sostenere nella misura del possibile sul piano economico, ma anche e soprattutto creando una rete di servizi efficace ed efficiente. Impresa tutt’altro che semplice, che rimanda a un’organizzazione di prossimità, che sia facilmente accessibile e soprattutto che sia realmente disponibile.



Una responsabilità che viene in gran parte affidata ad un nuovo sistema, lo SNAA (Sistema Nazionale per la popolazione Anziana non Autosufficiente), che dovrà provvedere alla programmazione e all’organizzazione di tutti i vari interventi sociosanitari. Se la prima difficoltà poteva sorgere nel momento di valutare l’effettiva consistenza del miliardo stanziato, perché non appare chiaro se si tratta di un miliardo aggiuntivo rispetto alle diverse misure di aiuto finora disponibili sia pure in modo frammentato oppure se si tratta di un semplice riordino delle risorse attualmente a disposizione degli anziani, la seconda difficoltà con cui le famiglie dovranno confrontarsi sarà il rapporto tra lo SNAA e le competenze dei servizi sociali che finora hanno provveduto a soddisfare bisogni e necessità degli anziani. Difficile prevedere fino a che punto lo SNAA sarà un organismo che integra competenze già in atto, nel rispetto delle professionalità già strutturate, oppure se, curando la regia di questi servizi, finirà col sovrapporsi ad uno stile di lavoro, che sia pure con i suoi limiti, ha comunque finora risposto ai bisogni emergenti.



In altri termini l’obiettivo auspicato dagli anziani e dalle loro famiglie dovrebbe essere la semplificazione dei processi e quindi la possibilità di avere un punto unico di riferimento a cui accedere almeno per fare presenti le proprie necessità, e ridurre, fino ad abolirle, certe forme di burocrazia che rappresentano un peso notevole per persone che si muovono fisicamente con difficoltà, che non maneggiano adeguatamente il sistema digitale, e che vivono il tempo, tutti i tempi di attesa, come il rischio di non arrivare mai a godere di ciò che spetta loro. La legge e lo stesso decreto attuativo in alcuni passaggi sembrano una sorta di libro dei sogni, che accende speranze e ottimismo, ma che senza un’adeguata organizzazione tra ruoli e risorse corre il rischio di deludere molti prima di cominciare a soddisfare alcuni. Il decreto, ad esempio, mentre sottolinea il valore del coordinamento dei servizi, non specifica affatto come si valuteranno tempi e modi delle esigenze degli anziani, perché rispetto alla limitazione delle risorse stanziate il coordinamento non potrà riguardare solo i servizi ad personam per ciascun anziano, ma come suddividere tempi e modi dell’assistenza tra tutti gli anziani che a quel servizio afferiscono. Per quanto si possa coordinare, molto si dovrà suddividere senza poterlo moltiplicare.

Anche oggi gli anziani hanno diritto a un infermiere, a un fisioterapista che si reca nella loro casa e offre un servizio più o meglio qualificato a seconda delle sue competenze, ma sempre insufficiente nella percezione delle famiglie. Coordinarlo significherà anche aumentarlo e farlo corrispondere più e meglio alle esigenze degli anziani o semplicemente organizzarlo meglio, cosa certamente importante ma non sufficiente. Risultano ancora poco chiare e poco concrete le due classiche linee di intervento nella presa in carico degli anziani: a quali diritti fa riferimento l’assistenza domiciliare e a quali diritti l’assistenza residenziale. Chi avrà diritto all’una e chi all’altra, e nell’ambito di ciascuna a cosa avranno diritto gli anziani e le loro famiglie.

Perché il dilemma di ogni famiglia, frammentata, con scarse risorse, con un disagio segnato dalla povertà, dalla cronicità, dalla solitudine resta sempre questo: accudire il familiare anziano a casa o in una RSA. E in un caso e nell’altro in che cosa migliora effettivamente l’assistenza domiciliare e in cosa migliora l’assistenza in una residenza. Legge e decreto non difettano di buona volontà e forse neppure di immaginazione, ma sì di concretezza, per cui se la speranza cresce, cresce anche il rischio della delusione. Basta pensare alla promessa di un turismo agevolato, che tenga conto di tutte le barriere che si presentano a un anziano che abbia difficoltà motorie, che veda o senta poco, che non conosce lingue straniere e non sia in grado di orientarsi nella confusione dei grandi aeroporti. Anche oggi ci sono compagnie che promuovono viaggi per anziani, trattandoli un po’ come collegiali in vacanza, e da queste esperienze molti anziani fuggono, mentre avrebbero bisogno di una rete di servizi anche nel settore dei trasporti ben più capillare e discreta. Per non parlare degli animali da compagnia: il decreto ne incentiva l’adozione, ma non dice nulla del costo crescente che rappresentano e della oggettiva difficoltà a prendersene cura quando si ammalano. La cultura della cura degli animali è cresciuta enormemente nel nostro tempo, al punto da diventare competitiva in costi e risorse rispetto alla cura degli stessi anziani.

Il decreto oscilla continuamente tra una visione decisamente innovativa di welfare, in cui rientrano le forme di senior cohousing e di cohousing intergenerazionale, e una contabilità minuta che ne ridimensiona continuamente la progettualità e la attuabilità. La sfida è come sempre quella di ridimensionare una certa ingenuità narrativa, a favore di un realismo più concreto ed efficace. In altri termini non illudere per non deludere.

In questo senso appare degna della massima attenzione la prospettiva di trasformare l’attuale indennità di accompagnamento in una prestazione universale per la non autosufficienza. In modo analogo all’assegno unico che accompagna ogni bambino dal momento della sua nascita al momento della sua autonomia. In questo caso si tratterebbe del processo inverso e partire dalla perdita di autonomia: la non autosufficienza per arrivare alla fine della vita. Una sorta di ciclo della vita che si apre e si conclude all’insegna di una grande manifestazione di solidarietà sociale. In questo modo l’assegno di accompagnamento passerebbe dagli attuali 530 euro a 1.380 euro, da spendere per servizi, cura e assistenza. Non avrà però il carattere universale riservato ai bambini che nascono, sarà piuttosto una misura di contrasto alla povertà riservata ai soggetti non autosufficienti che hanno compiuto 80 anni e hanno un ISEE che non supera i 6.000 euro. Già questi due fattori: età e reddito, uniti alla non autosufficienza, mostrano inequivocabilmente come si tratta di una misura riservata a persone non solo gravemente non autosufficienti, ma anche a persone gravemente indigenti.

Come tutte le leggi e tutti i decreti attuativi, attende il banco di prova della applicazione pratica. Destinare misure concrete agli anziani, metterli al centro di una visione della società che non dimentica il servizio che hanno prestato in tutto l’arco della loro vita, spesso ricavandone molto meno di quello che hanno investito, è indubbiamente un segnale positivo di civiltà e di umanità, per questo però occorre che chi sarà preposto al coordinamento e al controllo dia attuazione a questi propositi. Lo SNAA sia realmente all’altezza della situazione. Ma della sua formazione non sappiamo ancora nulla.

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