Si torna a discutere attorno al cosiddetto Decreto Caivano – ovvero il decreto legge 123/23 introdotto il 13 novembre con la legge 159/23 sulla scia dello stupro da parte di 9 giovani ai danni due cuginette di 10 e 12 anni al Parco Verde caivanese – con la notizia dell’Ordinanza con cui il Tribunale dei minori di Bari ha sollevato una questione di illegittimità costituzionale ai sensi dell’articolo 31, comma due, della Costituzione. In particolare, il tribunale punta il dito contro il fatto che nel Decreto Caivano sia stata esclusa la messa alla prova per alcune tipologie di reato, tra cui la violenza sessuale di gruppo ai danni dei minori.
Facendo un passo indietro, con messa alla prova si intende un istituto previsto nel nostro ordinamento per i reati considerati lievi oppure con un basso rischio di recidiva, grazie al quale il presunto autore prima della condanna può chiedere che la sua pena sia convertita in lavori socialmente utili non retribuiti. Con il Decreto Caivano, i minori accusati di violenza sessuale non possono chiedere questo istituto alternativo, con l’ovvia conseguenza che la pena deve essere scontata in carcere senza la possibilità di ottenere le cosiddette misure alternative.
I giudici di Bari: “Il Decreto Caivano viola l’articolo 31 della Costituzione”
Ora, tornano al tribunale di Bari, secondo i giudici locali l’assenza della messa alla prova nel Decreto Caivano è “in contrasto con tutto l’impianto normativo che regola il processo penale minorile”, che si può riassumere con il già citato articolo 31 della Costituzione secondo cui “la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. In altre parole, sottolineano i giudici nell’ordinanza, con il Decreto Caivano viene meno il principio di “recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale”, con la “sua rapida fuoriuscita del circuito penale” più ribadite come necessità da parte della stessa Corte Costituzionale.
Inoltre, senza la messa alla prova si fallirebbe anche nell’intento di “tutela dell’intera collettività” perché aumenterebbero “i rischi di una possibile recidiva” da parte di un giovane che si è visto privare – anche se “incensurato” – della sua libertà personale. Il Decreto Caivano, conclude l’ordinanza, “impedisce il necessario bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e ordine pubblico e quelle di ‘protezione dell’infanzia e della gioventù’, privilegiando automaticamente le prime”.