Scrivere un decreto legge può sembrare più facile che organizzare un blitz delle forze dell’ordine. Soprattutto dopo i fatti terribili di Palermo e Caivano e le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni durante la sua visita nella cittadina campana, era scontato che venissero varate una serie di “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”. Così, dopo l’imponente risposta “sul campo” delle forze di polizia del 5 settembre scorso, ieri il Consiglio dei ministri ha licenziato una serie di misure nella direzione indicata dalla presidente del Consiglio di una maggiore severità e controllo. Misure che, con ogni evidenza, non valgono solo per Caivano ma per tutto il territorio nazionale.
La loro portata è destinata ad alimentare un dibattito che, proprio perché attraversa vari ambiti (sicurezza, educazione, integrazione sociale per citarne alcuni), può facilmente scivolare nel mare magno delle opinioni che, quantunque autorevoli, rischiano di rimanere fini a sé stesse.
Bisogna innanzitutto sottolineare ancora una volta la meritoria attività di chi, con la quotidiana azione che non sempre assurge agli onori delle cronache, è preposto al rispetto delle leggi che già esistono; in questo caso, chi ha operato nei giorni scorsi in un territorio dove l’opera repressiva nei confronti della criminalità e di controllo dello Stato non è mai sufficiente.
L’attività di chi invece deve mettere in cantiere norme efficaci è tutt’altro che semplice, soprattutto quando si deve operare sotto l’onda dell’emotività di fatti efferati come quelli degli ultimi tempi. È evidente anche a chi non è un operatore del diritto che una norma “bella sulla carta” ma non applicabile è inutile, anzi controproducente. In questa sede non ha senso addentrarsi in questioni giuridiche, né nell’analisi di un provvedimento non ancora definito nei dettagli. La direzione presa dal Governo è quella del maggiore inasprimento delle conseguenze a carico di minori e di famiglie coinvolte in fatti di rilevanza penale. Servirà? In attesa di verificare nel concreto gli effetti delle misure, le opinioni, come è inevitabile, si dividono: a chi ritiene che l’inasprimento sia necessario si contrappone chi invece ritiene che senza una risposta sociale ed educativa tutto sia inutile.
I due livelli, semplicemente, non sono né sovrapponibili né intercambiabili. Anzi, in contesti in cui, possiamo dirlo senza ipocrisia, l’ordine costituito non è quello dello Stato, il messaggio deve essere forte, chiaro e senza incertezze, più che altrove: chi sbaglia deve sapere che ci sono delle conseguenze e queste sono determinate da una “cosa” ultimamente non tanto strana che si chiama legge. Ciò, paradossalmente, contribuisce a rendere queste realtà “normali” e simili a tutte le altre dove la legge opera nello stesso modo; anche così lo Stato diventa più credibile. Questo aspetto, duole dirlo, deve valere anche per chi non ha compiuto la maggiore età. Certo, con tutti, e a maggior ragione con i minori, lo Stato deve far sì che ogni conseguenza giuridica negativa non diventi uno stigma per tutta la vita che ne impedisce il reinserimento nella società. E qui interviene la necessaria interazione dei corpi intermedi, cui spetta l’imprescindibile opera di intervento di educazione prima e, quando necessita, di rieducazione poi, pretendendo dallo Stato strumenti adeguati alla titanica opera di presenza costruttiva sul territorio. Questa seconda fase, però, è bene dirselo, senza la prima rimarrebbe inevitabilmente zoppa e molto meno efficace; e non ci vogliono analisi e competenze particolari per capirlo.
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